Rorate caeli desuper et nubes pluant Iustum

C’è un canto gregoriano di particolare bellezza il cui ritornello, facendo eco alle parole del grande profeta Isaia, recita così “Rorate caeli desuper et nubes pluant Iustum” (Stillate, o cieli, dall’alto e le nubi piovano il Giusto).

Nel testo e nella melodia di quel canto c’è, in sintesi, tutto il significato del tempo liturgico dell’Avvento: amarezza, sconforto, desolazione per l’umano peccare e speranza di una salvezza, promessa rassicurante di Dio e realtà vicina che dona consolazione.

Ognuna delle quattro domeniche ha nella liturgia un tema predominante che entra nel disegno generale di un crescendo di attesa per ciò che sta per accadere.

In una catechesi del mercoledì, a commento del Cantico di Tobia (Tob 13, 1-7), il Papa San Giovanni Paolo II una volta ha richiamato come “noi dobbiamo pensare soprattutto alla luce del mistero di Cristo, al dono che consiste in Dio stesso. Di lui, prima ancora che dei suoi doni l’uomo ha bisogno; il peccato è una tragedia non tanto perché ci attira i castighi di Dio, quanto perché respinge Lui dal nostro cuore”.

Il Natale ha un significato che dobbiamo imparare a riconoscere. Innanzitutto questo miracoloso evento interpella da duemila anni uomini e donne che difficilmente riescono ad ignorarlo se ne hanno sentito parlare.

L’annuncio della nascita del Salvatore dell’uomo, di ogni uomo, immerso nelle tenebre del male e del non senso, raggiunge e salva soltanto gli umili: Maria una giovane donna fiduciosa, Giuseppe un uomo giusto, i poveri e anonimi pastori. Perché il Natale è il grande annuncio di salvezza solo per gli umili, per i piccoli, per i poveri, i veri poveri che sono le persone umili e semplici. E, se ciò ci consola, può anche inquietare; perché, se non riusciamo a consegnarci a questo grande mistero, è evidente che non siamo né semplici, né umili.

Agli umili non resta che supplicare l’Onnipotente perché porti il sollievo della pace che ci vuol donare anche in quelle situazioni  che l’uomo nella sua libertà ha reso disumane.

I credenti sono sollecitati a vivere in un continuo avvento e, nell’attesa, ogni fedele ripete “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22, 17). Il Signore è venuto, viene e verrà; bisogna ringraziare, accogliere e attendere.

Pieni di desiderio e di speranza iniziamo il nuovo anno liturgico di Gesù Cristo, vissuto nei suoi diversi misteri. L’anno liturgico non ha date ma avvenimenti: la prima pagina è la sua nascita, che si prepara nel tempo dell’Avvento; l’ultima pagina sarà scritta da Cristo nel giorno della sua venuta gloriosa. Nel frattempo dobbiamo scrivere le altre pagine, giorno dopo giorno, con fede e speranza.

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