DIO PERDONA SEMPRE – II puntata

Catechesi sul Sacramento della Confessione

 

Nel vecchio rito della Messa c’era un formulario per chiedere il dono delle lacrime. L’orazione diceva così: O Dio onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua viva per il popolo assetato, fa uscire dalla durezza del nostro cuore lacrime di pentimento: affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per tua misericordia, la loro remissione.

Per inciso, la bella notizia è che nella III edizione latina tipica del Messale Romano del 2002 (non ancora edita in Italiano), questo formulario è stato reintrodotto tra le messe “Ad diversa”, num. 38, “Pro remissione peccatorum”. Uscite dalla porta, rientrano dalla finestra!

 

Sappiamo piangere sui nostri peccati, sui nostri tradimenti? Siamo disposti a lasciarci cambiare il cuore da Gesù?

 

C’è un pianto descritto nel Vangelo sul quale vorrei soffermarmi. È il pianto di Pietro dopo aver rinnegato Gesù.

Mt 26, 69-75

69Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici».71Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». 73Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». 74Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. 75E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

Il pianto di Pietro è stato magnificamente musicato da Bach nella sua opera “Passione secondo Matteo”, eseguita per la prima volta il venerdì santo del  1727.

Siamo al terzo rinnegamento di Pietro. Il testo dell’aria dice: Erbarme dich, mein Gott, um meiner Zähren willen! Schaue hier, Herz und Auge weint vor dir bitterlich. La traduzione: Abbi pietà di me, in grazia del mio pianto! Guarda qui, cuore e oc­chio piangono davanti a te, amaramente.

La lunga aria comincia con una dolcissima introduzione stru­mentale affidata al violino solo (che é il vero protagonista del pezzo), che svi­luppa così il tema del “pianto” di Pietro, mentre il testo “interiorizza” questo pianto come attribuendolo al fe­dele. Anche qui le note pizzicate dei violini che appaiono in certi punti alludono alle lacrime del pianto di cui si parla nel testo.

Qui il pianto di Pietro diventa il pianto dell’uomo che chiede pietà alla quale il Signore risponde con la sua misericordia.

(ascoltiamo il brano)

Per confessarsi bisogna prepararsi bene.

Lo stesso Figlio di Dio non è venuto in terra impreparato. Gesù si è preparato lungamente all’ora della Croce. Gesù non è giunto alla Croce impreparato e, siccome nel Sacramento della Confessione noi entriamo nel mistero della Croce, non possiamo arrivarci impreparati.

La preparazione al sacramento della confessione – scrive P. Serafino Tognetti – consisterà nel misurare dal punto di vista del Signore la distanza, il distacco, ossia nel considerare l’allontanamento tra noi e la volontà di Dio (Dio perdona sempre, p.141-142).

Attraverso l’esame di coscienza si tratta di riconoscere i peccati commessi come nostri. Se è importante esaminarci con grande veracità e attenzione, questo però non significa farlo con paura.

L’esame di coscienza è mettersi davanti a Dio e vedersi nella luce di Dio. Perché se uno si guarda soltanto, ma non mettendosi di fronte al Signore, allora gli sembrerà di essere buono, di fare molte cose, insomma si sentirà facilmente a posto.

Chi non si pone di fronte a Dio non vede se stesso. Per conoscere noi stessi dobbiamo conoscere Dio, è soltanto la luce divina che manifesta a noi quello che realmente siamo.

Si chiedeva Don Divo Barsotti in un ritiro tenuto a Biella il 28.12.1988: Ci sentiamo noi di vivere davvero come ha vissuto Gesù? Di avere i sentimenti stessi del suo cuore divino? Davvero noi siamo umili come Lui? Davvero come Lui viviamo la volontà di Dio e possiamo dire che il nostro cibo è la sua volontà? Davvero come Lui viviamo questo amore anche per i nemici così da chiedere la loro salvezza: «Perdona loro perché non sanno cosa fanno» (Lc 23, 34)? … Chi si sente peccatore non è lontano da Dio; è chi si sente sano che non lo conosce! Se tu sei soddisfatto di te, vuol dire che ormai Dio si è nascosto al tuo sguardo. Di notte siamo tutti belli perché non ci si vede, ci vuole la luce del sole per scoprire quello che siamo; così è nella luce di Dio che possiamo conoscerci davvero.

È la luce che Gesù è che ci fa conoscere quello che siamo, che ci fa comprendere quanto siamo lontani da Lui, quanto ancora siamo peccatori, e per questo bisognosi del suo perdono.

Un cosa, dunque, è fondamentale: la preparazione alla confessione deve avvenire nello Spirito Santo. Lo Spirito va invocato quando iniziamo l’esame di coscienza e poi è importante che la confessione avvenga nell’amore. Chi si confessa distrattamente non ha parte a questo amore trinitario, finendo col confessare i peccati come cose astratte.

Tanto più ci prepariamo, tanto meglio facciamo la confessione.

 

Dai Racconti di un pellegrino russo

Mi rifaccio ora a un capitoletto preso dai “Racconti di un pellegrino russo”, (Bompiani, 2013 pag. 166-71).

Il Pellegrino racconta dell’idea che gli era venuta di fare una confessione estremamente particolareggiata e così “Cominciai dunque a ripercorrere con la memoria tut­ta la mia vita, dai tempi della giovinezza, e a ricor­dare per filo e per segno tutti i miei peccati. E per non dimenticarli cominciai a scrivere tutto quanto ricordavo, anche le inezie. Ne riempii un grande foglio”.

Venuto a conoscenza di un sacerdote di vita asce­tica, molto saggio e illuminato, decide di recarsi da lui e gli consegna il foglio sul quale aveva annotato i suoi peccati.

Egli lo lesse tutto e poi disse: « Caro fratello, molto di ciò che hai scritto è del tutto futile. Ecco:

  • prima di tutto, non confessare i peccati di cui ti sei già pentito e che già ti sono stati rimessi, quando non siano stati più commessi. Significherebbe non avere fede nel potere del sacramento della penitenza.
  • Poi: non rievocare i tuoi complici nel peccato, ma giudica solo te stesso.
  • In terzo luogo: i santi Padri proibiscono di indugiare sui particolari e le circo­stanze dei propri peccati. Bisogna confessarli in ge­nerale, per evitare che si risvegli la tentazione, in te o nel confessore.
  • Quarto: tu sei venuto per pentirti, ma non ti penti, perché non sai farlo. Il tuo penti­mento è freddo e approssimativo.
  • Quinto: hai se­gnato qui tutte le inezie, ma hai trascurato l’essen­ziale, non hai dichiarato i peccati più gravi. Non ti sei reso conto, e non l’hai annotato, che tu non ami Dio, che detesti il tuo prossimo, che non credi alla Parola di Dio e sei colmo di orgoglio e di ambizione. Questi quattro peccati sono all’origine di tutto il male e di tutta la nostra depravazione spirituale. So­no queste le principali radici che alimentano i ger­mogli di tutte le nostre cadute».

Di fronte alle perplessità del pellegrino, il santo sacerdote, gli fa dono di un breve scritto: La confessione che guida all’umiltà l’uomo in­teriore

Rivolgendo attentamente il mio sguardo su me stesso e osservando il corso della mia vita inte­riore, ho constatato per esperienza che non amo Dio, che non ho amor del prossimo, che non ho fede reli­giosa e che sono pieno di orgoglio e di libidine. Riscontro veramente tutto questo in me dopo un esame accurato dei miei sentimenti e delle mie azioni.

  • NON AMO DIO. Se l’amassi, penserei inin­terrottamente a Lui con cuore lieto, ogni pensiero su Dio mi procurerebbe un immenso godimento. Al contrario, troppo spesso e troppo volentieri penso alle cose della vita, e il pensiero di Dio costituisce per me un arido sforzo. Se lo amassi, la conversa­zione con Lui attraverso l’orazione mi nutrirebbe, mi allieterebbe e mi indurrebbe a una perpetua comu­nione con Lui; mentre, al contrario, non solo non godo dell’orazione, ma nel momento stesso in cui la dico, faccio uno sforzo, lotto di malavoglia, mi lascio infiacchire dalla pigrizia e sono disposto a occuparmi con piacere di qualunque sciocchezza, pur di abbreviare l’orazione o di sospenderla.

In vuote occupazioni il mio tempo vola, mentre quando mi occupo di Dio e mi pongo alla sua presenza, ogni ora mi sembra un anno. Chi ama qualcuno vi pensa continuamente, vi pensa tutto il giorno, ha sempre davanti a sé la sua immagine, se ne preoccupa e in qualunque circostanza l’essere amato resterà sempre in cima ai suoi pensieri. Ma io durante il giorno fatico a trovare anche un’ora soltanto per immer­germi profondamente nel pensiero di Dio e infiam­marmi del suo amore, e le altre ventitre ore le passo a immolare sacrifici agli idoli delle mie passioni.

Nel­le conversazioni su frivolezze, su cose degradanti per lo spirito, sono alacre e provo piacere, mentre se ri­fletto su Dio mi trovo arido, annoiato e pigro. Se per caso sono trascinato da altri a una conversazione spirituale, mi sforzo di passare il più presto possibile a un discorso che soddisfi le mie passioni. Ho inesau­ribile curiosità di cose nuove, di affari pubblici e di eventi politici; cerco avidamente di soddisfare il mio amore per la cultura, scientifica o artistica, e di pos­sedere nuovi oggetti.

Ma lo studio della legge del Signore, la conoscenza di Dio e della religione, mi lasciano indifferente, non alimentano il mio spirito e non soltanto non le considero occupazioni essen­ziali per un cristiano, ma le vedo come elementi mar­ginali, di cui se mai devo occuparmi solo nel tempo libero, nei momenti di ozio.

In breve, se l’amore per Dio si riconosce dall’osservanza dei suoi comanda­menti (“Se mi amate, osservate i miei comanda­menti”, Gv. 14, 15 dice il Signore Gesù Cristo), e io non solo non li osservo ma faccio ben poco sforzo per osser­varli, in verità devo concludere che io non amo Dio… Lo conferma Basilio il Grande, quando dice: “La prova che l’uomo non ama Dio e il suo Cristo è che egli non osserva i suoi comandamenti”.

 

  • NON AMO IL PROSSIMO. Infatti, non solo non saprei risolvermi a dare la mia vita per il mio prossimo (secondo il Vangelo), ma non sacrifico nep­pure la mia felicità, il mio benessere e la mia pace per il bene del mio prossimo. Se io lo amassi come me stesso, secondo gli insegnamenti del Vangelo, le sue disgrazie mi toccherebbero e la sua fortuna ren­derebbe felice anche me.

Invece mi incuriosiscono i racconti sull’infelicità del mio prossimo e non me ne affliggo, anzi resto imperturbato, oppure, ancora peggio, provo una specie di piacere. Invece di na­scondere amorevolmente le cattive azioni di mio fra­tello, le diffondo, giudicandole. Il suo benessere, il suo onore, la sua felicità, dovrebbero allietarmi come se toccassero a me, e invece non suscitano in me alcun sentimento di gioia, come se non mi riguar­dassero affatto. Se mai suscitano in me un senso sot­tile di invidia o di disprezzo.

 

  • NON HO FEDE RELIGIOSA NELL’IMMORTALITÀ NÉ NEL VANGELO. Se io fossi saldamente convinto e credessi senza ombra di dubbio che oltre la tomba c’è la vita eterna e la ricompensa alle azioni terrene, non cesserei un minuto di rifletterci. Il solo pensiero dell’immortalità mi farebbe terrore e condurrei que­sta vita come un viaggiatore di passaggio che si pre­pari a rientrare in patria. Al contrario, io non ci penso neppure all’eternità, e considero la fine di que­sta vita terrena come il limite ultimo della mia esi­stenza.

In me cova un segreto pensiero: che cosa c’è dopo la morte? Anche se dico di credere nell’immor­talità lo dico soltanto con la mente, ma il mio cuore è ben lontano da una salda convinzione, come aperta­mente testimoniano le mie azioni e la mia ansia co­stante di soddisfare la vita dei sensi.

Se il santo Van­gelo fosse accolto con fede dal mio cuore come la Parola di Dio, io mi dedicherei incessantemente alla sua lettura, lo studierei, ne farei le mie delizie e fisse­rei su di esso tutta la mia devota attenzione. L’im­mensa saggezza, il bene e l’amore che esso contiene, mi conquisterebbero e mi darebbero la gioia di stu­diare la legge di Dio giorno e notte. Mi nutrirei di esso come del pane quotidiano e il mio cuore sarebbe tratto a osservarne i precetti. Nessuna forza terrena riuscirebbe a distrarmene. Ma al contrario, se ascol­to e leggo di tanto in tanto la Parola di Dio, lo fac­cio per necessità o per generico amore di conoscenza, e poiché non mi ci accosto nella più profonda atten­zione, la trovo arida e poco interessante. Non ne ricavo alcun frutto, come dopo una lettura qualun­que e sono sempre disposto a passare a letture se­condarie, in cui trovo maggior piacere e sempre nuo­vi interessi.

 

  • SON PIENO D’ORGOGLIO E DI LIBIDINE. Lo con­fermano tutte le mie azioni. Se scorgo qualcosa di buono in me, desidero metterlo in evidenza, o vantarmene davanti agli altri, o compiacermi intima­mente di me stesso. Sebbene all’esterno io faccia mostra d’umiltà, tuttavia attribuisco ogni merito alle mie forze e mi considero superiore agli altri o per lo meno non inferiore.

Se noto in me una colpa, mi sforzo di giustificarla, dicendo: “Sono fatto così” o “Non è colpa mia”. Mi arrabbio con coloro che non mi stimano, considerandoli incapaci di apprez­zare la gente. Mi vanto delle mie doti, considero un insulto i miei insuccessi, mi lamento; e godo, invece, delle disgrazie dei miei nemici. Se tendo a qualcosa di buono, ho come meta la lode oppure la voluttà spirituale, o la consolazione terrena. Insomma, fac­cio di me stesso un idolo al quale rendo un culto inin­terrotto, cercando in ogni occasione il piacere dei sensi e il nutrimento alle mie passioni o alla mia libidine. (Termina qui la citazione dei Racconti di un Pellegrino russo).

 

Il Sacramento della Penitenza ci educa.

Vivere bene la Confessione significa lasciarci educare. Il Sacramento della Penitenza educa il sacerdote ed educa il fedele. Di questo aspetto ne parlo il Papa Benedetto XVI ai partecipanti al Corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria apostolica il 25 marzo 2011.

In che modo il Sacramento della Penitenza educa?

Educa il sacerdote:

  • dall’osservatorio del confessionale, il sacerdote può contemplare lo splendore della Misericordia divina, assistendo non di rado a veri e propri miracoli di conversione.
  • il sacerdote viene a conoscere l’abisso del cuore umano, senza però perdere la speranza che l’ultima parola sul male dell’uomo e della storia è di Dio, è della sua Misericordia, capace di far nuove tutte le cose (cfr Ap21,5).
  • il sacerdote può imparare molto da penitenti esemplari per la loro vita spirituale, per la serietà con cui conducono l’esame di coscienza, per la trasparenza nel riconoscere il proprio peccato e per la docilità verso l’insegnamento della Chiesa.
  • se i penitenti si accostano a noi, è solo perché siamo sacerdoti, configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, e resi capaci di agire nel suo Nome e nella sua Persona, di rendere realmente presente Dio che perdona, rinnova e trasforma e tutto questo concorre ad alimentare nel sacerdote la consapevolezza dell’identità sacramentale.

 

Educa i penitenti:

  • L’esame di coscienza ha un importante valore pedagogico: esso educa a guardare con sincerità alla propria esistenza, a confrontarla con la verità del Vangelo e a valutarla con parametri non soltanto umani, ma mutuati dalla divina Rivelazione. Il confronto con i Comandamenti, con le Beatitudini e, soprattutto, con il Precetto dell’amore, costituisce la prima grande “scuola penitenziale”.
  • Nel nostro tempo caratterizzato dal rumore, dalla distrazione e dalla solitudine, il colloquio del penitente con il confessore può rappresentare una delle poche, se non l’unica occasione per essere ascoltati davvero e in profondità.
  • L’integra confessione dei peccati, poi, educa il penitente all’umiltà, al riconoscimento della propria fragilità e, nel contempo, alla consapevolezza della necessità del perdono di Dio e alla fiduciache la Grazia divina può trasformare la vita. Allo stesso modo, l’ascolto delle ammonizioni e dei consigli del confessore è importante per il giudizio sugli atti, per il cammino spirituale e per la guarigione interiore del penitente.

 

CONCLUSIONE

 Nella Prima Lettera di San Giovanni si legge: «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1,8-ss).

 Il peccato non deve continuare a inquinare l’anima, avvelenandola così dall’interno. Essa ha bisogno della confessione. Mediante la confessione lo portiamo alla luce, lo esponiamo all’amore purificatore del Verbo fatto carne Cristo:

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 

20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».(Gv 3,16-17.20-21).

Ancora più forti le parole di san Paolo:

27Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. 28Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 1Cor 11-27-31).

Questo ci ricorda che non possiamo accostarci alla santa Comunione senza essere in grazia di Dio, questo significherebbe commettere a cuor leggero un vero e proprio sacrilegio.

Con l’assoluzione sacramentale noi torniamo nella comunione piena e nell’intima amicizia con la Santissima Trinità: Se uno è in Cristo è una creatura nuova (2Cor 5,17). È la gioia del figlio che ritorna a casa. Ora conosciamo la porta per entrarvi. Mentre ci riconcilia con Dio, la Grazia rinnova anche la nostra comunione con il prossimo. Ma la cosa straordinaria di tutto questo è che la Grazia di Dio è assolutamente gratis! È puro dono, non costa niente. Grazia e gratis sono la stessa parola.

A questo proposito: Un giorno si presentò a don Bosco un individuo, chiedendo di confessarsi. Il Santo subito l’accolse con premura, e gli domandò: Quanto tempo è che non vi confessate? Sono dieci anni. Allora – continuò il Santo – datemi dieci lire. Ma perché?! ho sempre sentito dire che per con­fessarsi non si paga nulla. E se per confessarsi non si paga nulla perché mai voi avete aspettato dieci anni? Quel tale alzò gli occhi confuso, e vedendo don Bo­sco sorridere, esclamò: Ha ragione, Padre; d’ora innanzi, non sarà più così.

Toccati dalla Grazia divina, ci impegniamo allora, dopo la confessione, a rimanere in Grazia, cercando di piacere a Dio.

 

One thought on “DIO PERDONA SEMPRE – II puntata

  1. Ieri sera abbiamo ascoltato questa catechesi e siamo grati a don Paolo per gli insegnamenti. Inoltre lo ringraziamo dell’impegno e della fatica che ha impiegato per trascrivere tutto il testo così da renderlo disponibile alla nostra meditazione. Giuseppe e Maria.

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