Era il 29 giugno del 1972. L’omelia di Papa Paolo VI nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo fu tanto accorata quanto imprevista. Più volte il Papa si scostò dal testo scritto e improvvisò a braccio. I toni furono così drammatici che persino l’Osservatore Romano non pubblicò il testo integrale dell’omelia ma si limitò a un sunto. Sbobinando i nastri della Radio Vaticana è stato possibile trascrivere l’intera omelia.
L’improvvisato ed angosciato discorso del 29 giugno 1972 era stato d’altra parte preceduto, proprio nei giorni immediatamente anteriori, da altri due interventi.
Il primo risale al 21 giugno, che coincideva con il 9° anniversario dell’elezione al soglio di Pietro. Durante l’Udienza generale si era lasciato andare a questa confidenza: Troviamo in certe nostre note personali a tale riguardo: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva». Vi confidiamo questo nostro sentimento non certo per fare atto pubblico, e perciò vanitoso, di umiltà, ma perché anche a voi sia dato godere della tranquillità che ne proviamo noi stessi, pensando che non la nostra mano debole e inesperta è al timone della barca di Pietro, sì bene quella invisibile, ma forte ed amorosa, del Signore Gesù. E vorremmo così che anche in voi, come in tutta la Chiesa, turbata talvolta per le debolezze che la affliggono, avesse a prevalere il senso evangelico di fede-fiducia, richiesto da Cristo ai suoi seguaci, e non avesse mai la paura o lo scoraggiamento ad intristire l’ardimento ed il gaudio dell’operare cristiano. Quanto a noi, andiamo ancora ripetendo nel cuore la parola d’un altro grande Papa, Leone I, inserita in uno dei suoi classici sermoni pronunciati proprio nella celebrazione annuale della sua elevazione al Pontificato: dabit virtutem, qui contulit dignitatem, darà la forza, Colui che ha conferito la dignità (Sermo II; PL 54, 143).
Il secondo intervento fu quello del 23 giugno, in occasione degli auguri del Sacro Collegio per il suo onomastico. Durante quell’incontro Paolo VI parlò di uno “stato di disagio, che non possiamo e non dobbiamo nasconderci: anzitutto una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa «nuova», quasi «reinventata» dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto”.
Veniamo così all’omelia della Solennità dei Santi Pietro e Paolo. Ripercorriamone i passaggi più drammatici: E guardando allora […] a tutta la Chiesa, che cosa vediamo? Anche qui l’analisi di che cosa è oggi la Chiesa […] possiamo essere tranquilli? Non possiamo vedere nella Chiesa una fenomenologia che ci obbliga a qualche riflessione, e a qualche atteggiamento, e a qualche sforzo, e a qualche virtù che diventa caratteristica del cristiano? Noi pensiamo in questo momento, e credetelo, figli e fratelli carissimi, pensiamo con immensa carità a tutti i nostri fratelli che ci lasciano, a tanti che sono fuggiaschi, e sono fuggitivi, e sono dimentichi, e tanti che forse non sono arrivati nemmeno ad avere coscienza della vocazione cristiana, quantunque abbiano ricevuto il battesimo. […]
Ebbene – aggiunge il Papa – vorremmo dire a questi fratelli, di cui sentiamo quasi lo strappo nelle viscere della nostra anima sacerdotale, quanto ci sono presenti, quanto ora e sempre e più li amiamo e quanto preghiamo per loro e quanto cerchiamo con questo sforzo che li insegue, li circonda, di supplire all’interruzione che essi stessi frappongono alla nostra comunione con Cristo».
Ma ecco poi l’imprevisto passaggio sulla situazione della Chiesa: E poi c’e un’altra categoria, e ci siamo un po’ tutti, e caratterizza questa categoria, direi, la Chiesa di oggi. Si direbbe che da qualche misteriosa – no, non è misteriosa – da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, c’è l’incertezza, c’è la problematica, c’è l’inquietudine, c’è l’insoddisfazione,c’è il confronto; non ci si fida più della Chiesa, ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale, per rincorrerlo, per chiedere a lui se ha la formula per la vera vita, e non pensiamo di esserne già noi padroni e maestri. È entrato, ripeto, il dubbio nella nostra coscienza, ed è entrato per finestre che dovevano essere aperte alla luce. La scienza! Ma la scienza è fatta davvero per darci delle verità che non ci distaccano da Dio, ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità. E dalla scienza invece è venuto la critica di tutto, è venuto il dubbio di tutto quello che è, di tutto quello che conosciamo. Gli scienziati sono quelli che curvano la fronte più pensosamente e più dolorosamente e finiscono per insegnare: “Non so. Non sappiamo. Non possiamo sapere.” […]
E poi continua il Papa con questo passaggio sulla vita interna della Chiesa: Anche noi, anche noi, figlioli, anche noi della Chiesa. Credevamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, e di tempeste, e di buio, e di ricerca, e di incertezza, e si fa fatica a dare la gioia della comunione. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri, e cerchiamo di scavare abissi invece che colmarli. Come è avvenuto questo? Noi vi confideremo un pensiero che può essere – lo mettiamo noi stessi, qui, in libera discussione – che può essere infondato, e cioè che ci sia stato un potere, un potere avverso, diciamo il suo nome, il diavolo, questo misterioso essere che c’è, e nella lettera stessa di S. Pietro che stiamo commentando se ne fa allusione. Non parliamo poi di quante, quante volte nel vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. Noi crediamo in qualche cosa di preternaturale, avvenuto nel mondo, proprio per turbare, per soffocare i frutti del concilio ecumenico e non lasciare che la Chiesa scoppiasse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. E appunto per questo allora, figli carissimi, noi vorremmo essere capaci, e più che mai in questo momento, di esercitare la funzione che Dio ha dato a Pietro: tu devi confermare nella fede i tuoi fratelli. […]
Ciò che fece più impressione al mondo e che non smette ancora oggi di interrogare tutti noi è l’accenno a Satana: “Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana”. Se allora se ne vedevano i frutti, viene da dire che oggi quei frutti si sono fatti – ahimè – più che mai abbondanti.
Continuo a chiedermi perché mai proprio la metafora del fumo. Il Papa poteva usare mille altre immagini e invece ha scelto proprio questa. Sappiamo bene che l’inalazione di fumo è un pericolo serio che può causare gravi lesioni, che può portare rapidamente a inabilità e perdita di coscienza e addirittura alla morte. Il fumo, inoltre, può oscurare la visibilità, oltreché danneggiare seriamente l’ambiente circostante.
Cinque anni prima di quella “dolorosa” omelia, ricevendo la Conferenza Episcopale Italiana, il Papa si era espresso così: “Qualche cosa di molto strano e doloroso sta avvenendo […] si altera il senso della fede unica e genuina; si ammettono le aggressioni più radicali a verità sacrosante della nostra dottrina, sempre credute e professate dal popolo cristiano; si mette in questione ogni dogma che non piaccia; si prescinde dall’autorità insostituibile e provvidenziale del Magistero; e si pretende di conservare il nome cristiano arrivando alle negazioni estreme d’ogni contenuto religioso […]”. (Papa Paolo VI, Udienza alla Conferenza Episcopale Italiana, 7 aprile 1967).
Certamente sono parole che fanno pensare, soprattutto se rilette tenendo presente lo scenario attuale. Non solo Paolo VI è stato profetico, ma anche San Giovanni Paolo II in un Discorso del 1981 è stato altrettanto incisivo: Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata da sempre insegnata; si sono propagate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva […] Oggi bisogna ricominciare tutto da capo, dai “preamboli della fede” fino ai “novissimi”.(Discorso ai Convegnisti di Missioni al popolo per gli anni ’80, 6 febbraio 1981).
Come non ricordare poi la meditazione del Card. Ratzinger alla nona stazione durante la Via Crucis del Venerdì Santo dell’anno 2005? “Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce?” – si chiedeva colui che da lì a poco sarebbe divenuto Papa col nome di Benedetto XVI.
Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).
Il commento alla terza caduta di Gesù sotto il pesante legno della croce terminava con questa accorata supplica: Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.
Divenuto Papa, Benedetto XVI, riprenderà questo doloroso pensiero in varie occasioni. Come già fece Paolo VI, ne parlò nell’omelia della Messa in onore dei santi Patroni di Roma, San Pietro e San Paolo, il 29 giugno 2010: “Oggi il pericolo più grave per la Chiesa non è rappresentato dalle persecuzioni dei cristiani che la Chiesa subisce da due millenni. Il male peggiore la chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto”.
Viviamo una stagione ecclesiale davvero strana. Qualcuno la vede come una sfida, certo è che stiamo attraversando un tempo faticoso e doloroso.
Dentro questa generale confusione si passa dalle parole ambigue ai silenzi assordanti. Una buona fetta del popolo di Dio è esausta, si sente come un gregge senza pastore. Tanti si stanno alzando in piedi, stanchi di una Chiesa ormai in ritirata davanti all’ideologia mondana.
C’è una domanda inquietante di Gesù nel Vangelo: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). È la domanda che inquietava anche lo stesso Paolo VI, così come confidò al filoso e scrittore francese, nonché amico, Jean Guitton: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?”. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». (8 settembre 1977).
Si ha l’impressione che il fumo di satana che ha invaso il tempio di Dio miri a danneggiare non solo l’episcopato, ma l’ufficio più importante che vi sia nella Chiesa, l’ufficio di Pietro a cui è affidato il compito di custodire la dottrina della fede.
Gesù stesso aveva messo in guardia Pietro e i suoi successori da questo possibile attacco satanico: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno” (Lc 22,31). Di questo diabolico violento attacco ben se ne deve essere accorto Papa Francesco che ripetutamente parla di Satana e non perde occasione per chiedere preghiere.
Possiamo stare certi che la preghiera e l’azione del popolo di Dio sapranno aprire scenari nuovi di santità e di grazia. Finché siamo quaggiù tutti i fedeli di Cristo sono esposti alla tentazione e corrono il pericolo di perdersi, papa, vescovi e sacerdoti inclusi. Perché questo non avvenga occorre mantenersi in comunione con la Chiesa, compreso il Papa, perché la Chiesa, in forza del dono dello Spirito Santo, è santa e sorgente della santità. Il piccolo gregge profetico non potrà che alimentarsi ai Sacramenti, proprio quei Sacramenti che il Papa dispensa per mandato di Cristo.
Se è vero che una sferzata così violenta contro la Chiesa, contro l’episcopato e contro il papato non si era mai vista, ci incoraggiano, tuttavia, le parole di Paolo VI quando disse che il predominante pensiero non cattolico “non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa”.
Coraggio piccolo gregge!
L’ha ripubblicato su Il Bene vincerà.
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