Da più di cinque anni a questa parte – precisamente dal 28 luglio 2013 – capita spesso di risentire, come un disco inceppato, il ritornello: “Chi sono io per giudicare?”.
Andiamo con ordine. Tutto è scaturito dalla conferenza stampa del Santo Padre Francesco in volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù appena conclusa a Rio de Janeiro. Tra le varie domande dei giornalisti, vi fu uno che chiese conto al Romano Pontefice della vicenda di Mons. Ricca e della sua intimità per nulla casta. La domanda si allargava poi alla questione della lobbi gay presente in Vaticano e su come Francesco intendesse affrontare il problema.
Nella risposta, a un certo punto, papa Francesco disse: Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice – aspetta un po’, come si dice… – e dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”.
La stampa riprese solo il “Chi sono io per giudicare”, omettendo la buona volontà e il rimando al Catechismo della Chiesa Cattolica. Da allora vietato giudicare. Neanche per sogno!
Giusto a titolo di informazione, quello che il Catechismo spiega “in modo tanto bello” (seno le parole del Papa) è questo:
“Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. (CCC n. 2357). Prosegue poi il testo al numero successivo: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. Infine: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana” (n. 2359).
Chiusa la parentesi, veniamo al perché l’espressione che piace tanto al mondo “chi sono io per giudicare?” ha poco senso non solo dal punto vista cristiano, ma anche da quello logico. Vivere è giudicare. Il giudizio – questo lo dicevano già Aristotele prima e San Tommaso dopo di lui – è un’operazione della mente che scaturisce dall’esperienza e dal ragionamento.
Ma ecco che già sento la risposta a suon di citazione bibliche di chi è pronto a farmi notare che:
- secondo l’evangelista Matteo (Mt 7, 1) coloro che giudicano sono sotto la minaccia di un castigo che è risparmiato invece a quelli che se ne astengono: “Non giudicate, per non essere giudicati”.
- San Paolo nella lettera ai Romani (14, 4) scrive: “Chi sei tu, che giudichi un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone. Ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di tenerlo in piedi”.
- Ancora San Paolo tuona nella lettera ai Romani (2,1): “Sei dunque inescusabile chiunque tu sia, o uomo che giudichi: poiché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose”.
Ergo, nessuno è in grado di giudicare. Va pure detto che accanto a queste citazioni della parola di Dio, che vanno ben comprese nel loro autentico significato, se ne potrebbero citare altre che vanno proprio nella direzione opposta. Vediamone alcune:
- Deuteronomio 16,18: “Ti costituirai giudici e scribi in tutte le città: essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze”.
- Dt 1,16: “Giudicate con giustizia”;
- Nel vangelo di Giovanni siamo invitati a “Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!”. (7,24).
- Alle folle abili a “valutare l’aspetto della terra e del cielo”. Gesù dice: “come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? (Lc 7,57-58).
Non mi dilungo a usare la Parola di Dio come un’arma per difendere tesi preconcette. Non ne farei un uso rispettoso. Quello che invece voglio chiarire è il fatto che “il giudizio in tanto è lecito in quanto è un atto di giustizia”. Questo non lo dico io, ma il grande San Tommaso (cf. Somma Teologica, II-II, q. 60, a. 2).
Il giudizio è vizioso e illecito quando uno va contro la rettitudine della giustizia (in questo caso ne scaturirebbe un giudizio perverso o ingiusto), quando uno giudica di cose su cui non ha autorità oppure quando manca la certezza nella ragione, basandosi su delle semplici supposizioni, cadendo così nel giudizio temerario. Il giudizio che Signore proibisce è quello ingiusto e temerario; è quello sulle cose divine, che sono al di sopra di noi; è quello fatto senza benevolenza e con animosità.
Cedo qui volentieri ora la parola a un caro amico di vecchia data, il buon san Giovanni Crisostomo che così scrive nel sermone XXIII a commento del Vangelo di Matteo:
Ma come? Non dovremo, dunque, rimproverare chi pecca? Anche Paolo ci vieta di farlo, o meglio ce lo vieta Gesù Cristo per mezzo di Paolo, con queste parole: «Tu poi perché giudichi il tuo fratello?» (Rm. 14, 10). «E chi sei tu che ti fai giudice del servo di un altro?» (Rm 14, 4). E ancora: «Perciò non giudicate di nulla prima del tempo, finché non venga il Signore» (1 Cor. 4, 5). Ma perché, poi, in un’altra circostanza lo stesso Apostolo aggiunge: «Riprendi, correggi, esorta»? (2 Tim. 4, 2). E altrove ripete: «Quelli che peccano, riprendili alla presenza di tutti» (1 Tim. 5, 20).E Cristo dice a Pietro: «Se il fratello tuo ha peccato contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo. Se poi non ascolta, prendi con te un’altra persona; se neppure così dà ascolto, dillo alla Chiesa» (Mt. 18, 15-17).Perché Cristo invita tante persone, non soltanto a rimproverare, ma anche a punire coloro che peccano? Egli ordina, infatti, di considerare il peccatore ostinato, che non dà ascolto a nessuno, come il gentile e il pubblicano. E perché ha dato anche le chiavi del cielo ai suoi apostoli? Se essi non possono giudicare, non hanno nessuna autorità su alcuno e, perciò, invano hanno ricevuto il potere di legare e di sciogliere. E d’altra parte se ciò prevalesse, la libertà cioè di peccare senza che nessuno ci rimproveri, tutto precipiterebbe in rovina, sia nella Chiesa, come nelle città e nelle famiglie. Se il padrone non giudicasse il suo servo, e la padrona la sua domestica, il padre il proprio figlio e l’amico il suo amico, la malvagità di certo aumenterebbe. E non soltanto l’amico deve giudicare l’amico, ma noi dobbiamo giudicare anche i nemici, poiché non facendolo non potremo mai sciogliere ed eliminare l’inimicizia esistente fra loro e noi, e tutto sarebbe sconvolto.
Poco più avanti puntualizza:
Qualcuno potrebbe dirmi a questo punto: Ma se un uomo cade nella fornicazione, non gli si dovrà dunque dire che la fornicazione è un male e non si dovrà correggerlo con energia per il suo peccato? Correggilo, certo, però non come se tu fossi un nemico che chiede giustizia, ma comportandoti come un medico che prepara il rimedio per guarire il malato. Cristo non ti disse di non impedire al prossimo di peccare, ma ti ordinò di non giudicare, cioè di non diventare un giudice aspro e severo. Inoltre egli non parla qui, come ho già cercato di chiarire, dei grandi peccati, dei delitti gravissimi, ma di quelle colpe che paiono tali e non lo sono.
Ricapitolando. Torniamo alla domanda iniziale: Chi sono io per giudicare? Risponderei così, lasciandomi ammaestrare dal Profeta Ezechiele: Sono una sentinella appassionata della mia salvezza e di quella di tutti:
“mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Tu morirai!”, e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio ed egli non si converte dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato. (Ez 3,16-19).
Distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, il bene dal male, chiamando bene il bene e male il male significa amare davvero le persone e non voler vederle morire nei loro peccati.
Stavo per dimenticare che, a pensarci bene, il comando di giudicare ce l’ha dato proprio Gesù: “Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. (Mt 18,15). Per correggere il fratello, come pure per lasciarsi correggere, occorre prima giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato in base all’insegnamento stesso di Gesù Maestro.
Allora la domanda potrebbe essere riformulata così: Chi sei tu per non giudicare?