Un racconto per piccoli e grandi
dedicato ai miei parrocchiani
Era l’alba di una fredda mattina di febbraio e il Padre Teofilo di Kairnac si stava preparando, come suo solito, alla celebrazione della Santa Messa. Mentre vestiva i paramenti, recitando tra sé e sé le preghiere di rito, un piccolo topolino, proprio di quelli di campagna, gli passò velocemente tra i piedi, attraversando, come fosse un tunnel, la sua lunga veste nera.
– Chissà da dove sarà entrato – pensò tra sé il buon padre.
– Ci mancano solo i topi e poi siamo al completo – esclamò a voce alta con fare un po’ burbero, benché fosse solo nella piccola sacrestia.
Mentre queste parole gli uscivano dalla bocca, gli balenò nella mente un pensiero che per un istante lo fece sorridere, alleviandogli la tristezza di quei giorni.
Cominciò a pensare che quel topolino forse era venuto per assisterlo nella celebrazione della Messa, dato che nessuno dei suoi fedeli sarebbe venuto per colpa di quella terribile epidemia che obbligava tutti a rimanere nelle proprie case.
E così – novello San Francesco – non si sa cosa gli passò per l’anticamera del cervello, fatto sta che provò a richiamare quell’agile topolino che era andato a nascondersi chissà dove.
– Topolino! – si mise proprio a chiamare il topo – Topolino! Dove sei? Vieni un po’ fuori.
Ancora più incredibile, fu che il piccolo roditore fece capolino dietro ad un’ala della statua di San Michele Arcangelo che troneggiava nella sacrestia. L’Arcangelo armato di spada contro le potenze del male sembrava non fargli paura. L’intruso guardò con occhi curiosi nella direzione del gigante nero che lo stava chiamando, ma subito si capì che si trattava di un topolino alle sue prime armi, per nulla avvezzo ad aver a che fare con sacrestie e robe da preti.
Padre Teofilo sgranò i suoi due grandi occhi neri, guardò nella direzione di San Michele e, fattosi improvvisamente tenero, si rivolse al grigio visitatore.
– Ehi tu, come ti chiami? – gli domandò senza badare troppo al fatto che si stava rivolgendo a un piccolo esemplare di topo campagnolo.
Non sentendo risposta, gli diede di sua iniziativa il nome di Emilio.
– Topo Emilio, dico a te, che sei venuto a fare? – ebbe l’audacia di chiedergli – Sei venuto a servirmi Messa?
Vi pare che i topolini si mettano a parlare, e per giunta con un prete? Così come era sbucato da qualche parte, il topolino scomparve senza lasciare alcuna traccia.
Padre Teofilo intanto finì di legarsi in vita la pianeta e, tutto solo, si avviò all’altare per la Messa che avrebbe celebrato a porte chiuse. I suoi parrocchiani gli erano tutti presenti nel cuore. La piccola chiesetta deserta gli appariva ancora più grande e guardando tra le panche gli sembrava di rivedere la sua gente al loro posto abituale. Nella seconda panca di sinistra gli pareva di vedere la signora Annunziata che in paese però tutti chiamavano Nunsia (era sempre la prima ad arrivare). Dal lato opposto la signorina Giovanna, l’amata maestra del paese, che da poco aveva festeggiato ottanta primavere. E poi pian piano la Chiesa sembrava riempirsi ai suoi occhi più che di nomi, di volti, quelli che nel tempo gli erano diventati sempre più famigliari.
Iniziò come sempre con il segno della Croce e dopo il saluto “il Signore sia con voi”, rimase per un attimo in sospeso come se stesse attendendo la risposta – “e con il tuo spirito” – che non venne.
I parrocchiani erano tutti forzatamente a casa, in compenso ecco rispuntare il piccolo Emilio che, incurante del fatto che la Messa fosse già incominciata, aveva deciso di girovagare impunito per la tutta Chiesa per andare infine a posizionarsi tra gli stivali di San Rocco. Che faccia tosta, se si può dire di un topo!
Padre Teofilo gli lanciò un’occhiata fulminante che non sortì nessun effetto. Se non fosse che aveva appena iniziato il sacro rito non ci avrebbe pensato due volte a cavarsi una scarpa e lanciarla all’indirizzo di quell‘impertinente. Rientrò in se stesso, salì i tre gradini dell’altare e si immerse nella contemplazione del Crocifisso, cercando di non pensare più al roditore.
Benché cercasse di scacciare dalla mente il pensiero di Emilio – cominciava a diventargli quasi simpatico – non riuscì a vincersi in quella distrazione anzi, gli venne persino il timore che, mentre lui era assente, quel birbante furbetto potesse rosicchiargli che ne so, le tovaglie, oppure i libri della Messa e così in un istante tutta la simpatia svanì per lasciare spazio alla preoccupazione. Gli venne persino il timore che potesse entrare nel tabernacolo, che pure sapeva essere ben sigillato. Ne tremò al solo pensiero.
– Non sia mai – sbottò con un tono di voce così forte da far tremare persino le sedie vuote.
Rimproverò nuovamente a se stesso di non riuscire a mettere a freno quelle fantasie da bambino, e cercò con tutto l’impegno possibile di rimettersi alla presenza del Signore per continuare la Messa. Passarono due o forse tre secondi e di nuovo tuonò a voce alta:
– E se gli riuscisse davvero? Metti che ci sia qualche piccolo pertugio. Si sa che i topolini si infilano dappertutto!
– Padre Teofilo – una voce fece eco alla sua – smettila di rincorrere le tue fantasie, pensa a quello che stai facendo all’altare.
Si guardò attorno, ma non c’era nessuno. Chi era stato a proferire quelle parole? Era certo che non se le era sognate, questa volta. Possibile che quel topolino parlasse veramente come si era immaginato poco prima in sacrestia e per di più si facesse ora beffe di lui?
– Teofilo, sono io che ti parlo.
Il burbero e battagliero Teofilo si fece d’un tratto serissimo, si guardò di nuovo attorno, ma non c’era nessuno, nemmeno più il topo. Pensò che la tensione di quei giorni gli stesse giocando un brutto scherzo.
– Padre Teofilo – la misteriosa voce lo chiamò per la terza volta – solleva il tuo capo. Sì, sono proprio io: è il tuo Gesù che ti parla.
Un brivido lo attraversò. Si sentì come tramortito. Tutto tremate alzò lentamente la testa e sì, era proprio Gesù che dalla croce aveva chiamato “a rapporto” – se così si può dire – il suo servo. Non gli sembrò vero di poter parlare con il suo Signore faccia a faccia come con un amico. Lo aveva desiderato tante volte, ma ora che stava accadendo veramente, si sentiva confuso, impacciato, anche un po’ impaurito.
Dalla croce, Gesù lo tranquillizzò.
– Non temere. Non mi dirai che ti faccio paura?
– Certo che no, Signore.
– Non vuoi che parliamo un po’? Sono venuto a consolare il tuo dolore affinché tu possa farti strumento di consolazione per i tuoi fedeli. Ho ascoltato la tua preghiera e anche quel voto che hai fatto alla mia Mamma.
– Come sai di quel voto, Signore?
– Teofilo, ti sembra una domanda da farmi?
– Perdonami, Signore, ma mi sembra tutto così strano.
– Lascia perdere la stranezza. Dimmi un po’ di quel voto.
– Qualche giorno fa, quando le cose si sono fatte più serie, sono andato in lacrime davanti all’altare della tua Mamma, che qui invochiamo (come se tu non lo sapessi) col titolo di Regina del Santo Rosario e le ho chiesto di proteggere questa comunità, di custodirci tutti da questa epidemia che ci fa tanto paura e le ho promesso in cambio…
– Sentiamo un po’ cosa le hai offerto in cambio.
– Ho fatto voto che se ci avesse custoditi tutti quanti, avremmo celebrato con solennità ogni anno la sua festa nella prima domenica di ottobre, preparandoci con una novena di preghiera e di confessioni, incoronando di nuovo la sua statua (insieme con te che sei tra le sue braccia) e poi portandola in processione per le vie del paese.
– Mi riempie il cuore di gioia questa idea che ti è venuta. Qualcuno sorriderà pensando che sia una cosa d’altri tempi, ma tu sai bene che il tempo della fede e dell’amore non conosce mutamenti. Dalla Croce non vi ho forse donato la mia mamma come vostra mamma? Il mio cuore danza quando correte a cercare rifugio nel suo cuore di madre e poi, sai com’è, te lo dico in confidenza, non riesco mai a dirle di no. Tutto quello che mi domanda, lo ottiene.
– Davvero, Gesù, non ho sbagliato? Vuoi che ti racconti per filo e per segno come mi è venuto in cuore di fare quel voto, anche se tu che leggi i cuori certamente già sai.
– Raccontami.
– Avevo da poco finito di recitare il vespro ed ero rientrato un attimo in casa, quando una persona che si trovava in Chiesa a pregare venne a chiamarmi dicendo che era caduta la corona della statua della Madonna. Pensai alla corona del Rosario che la Madonna ha tra le mani e invece era caduta la corona che la Madonna ha sul capo. Non ti nego che ne rimasi turbato e mi domandai se avesse un significato.
– E allora cosa hai fatto?
– Mi sono un po’ spaventato. Non capivo come fosse potuta accadere una cosa simile. Ho pensato che una cosa potevo farla subito, senza aspettare l’indomani e cioè rimettere la corona al suo posto. Ho preso la scaletta, sono salito in cima all’altare e ho rimesso la corona sulla testa della tua Mamma. Eravamo alla stessa altezza e non mi son lasciato scappare l’occasione di abbracciarla (pensai che le norme igieniche che di questi tempi ci impongono di evitare ogni contatto non dovessero valere con lei). Gesù, sai che mi sono commosso mentre la incoronavo: le mettevo la corona da regina e la sentivo quanto mai madre. Mi sembrava che mi sussurrasse al cuore: “Conosco il vostro smarrimento e le vostre paure di fronte al pericolo del coronavirus. Vi metto tra me mani un’arma potente che è la corona del Rosario. Incoronatemi Regina dei vostri cuori e vi proteggerò dal male”. Dimmi che non mi sono inventato tutto!
– Non te lo sei sognato, mio caro Teofilo. Era proprio lei che ti diceva quelle parole.
– Davvero, me lo assicuri?
– Sì, sta tranquillo.
– Giura? Ah no, perdonami, come non detto.
– Prosegui nel tuo racconto.
– È stata questione di pochi secondi e, in un impeto di amore filiale, è nato in me il proposito di fare il voto che ti ho detto, solo che poi mi è venuto uno scrupolo.
– Quale?
– Ho pensato che stavo impegnando tutta la parrocchia, senza avere chiesto il parere degli interessati; ma come potevo, non c’era mica il tempo e poi ho pensato che in casi di urgenza un padre prende decisioni che coinvolgono tutta la famiglia senza troppi indugi e senza troppi referendum e io mi sono sentito un po’ così.
– Hai fatto bene, bravo padre Teofilo.
– Ma se poi non vorranno, se mi diranno che ho fatto tutto di testa mia?
– Li lascerai liberi di fare diversamente quando tu non ci sarai più.
– Se mi dici così, allora tiro un sospiro di sollievo.
Intanto, tra una parola e l’altra era già trascorso un bel quarto d’ora abbondante, senza che padre Teofilo se ne rendesse conto. Si era persino dimenticato che era all’altare per celebrare la Messa, tanto quel dialogo intenso col Crocifisso l’aveva assorbito.
Fu proprio Gesù a riportarlo – se così si può dire – coi piedi per terra, quand’ecco che il buon padre Teofilo scoppiò in una fragorosa risata.
– E ora che ti succede? – chiese prontamente il Cristo dalla Croce – Cosa ti fa divertire così tanto?
– Gesù te lo devo proprio dire. È che prima è entrato in Chiesa un topolino e io ho cominciato a fantasticare. L’ho persino “battezzato” (non ti sembri irriverente) col nome di Emilio. Più ci penso e più mi viene da ridere.
– A questo punto, fa’ ridere anche me!
– Ho pensato: ma se quel topolino dovesse mangiare una particola consacrata, sì, insomma, se dovesse mangiarti, vuoi dire che farebbe la sua prima comunione? Lo so che è un pensiero davvero sciocco…
Mentre ancora sorrideva, Gesù rispose con voce così autorevole che il padre Teofilo ne tremò.
– No, caro padre, avrebbe soltanto rosicchiato un’Ostia.
Quella risposta scatenò come un vulcano di pensieri che all’istante inondò la testa di padre Teofilo, il quale rivide davanti a sé, come in un film, tutte le volte – le troppe volte – in cui le sue Comunioni erano state solamente un “rosicchiare” l’Ostia e ne provò un dolore così forte che scoppiò a piangere. Ripensò a tutte quelle volte, senza riuscire a numerarle, in cui aveva celebrato distrattamente i Santi Misteri. Gli pareva che il suo cuore dovesse spezzarsi da un momento all’altro a motivo del tradimento di cui era stato capace e non poté fare altro che inginocchiarsi davanti al grande crocifisso e col viso bagnato dalle lacrime, tra i singhiozzi, cominciò a ripetere, come mai aveva fatto in vita sua: Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore.
Continuò quella litania senza intermissione. Le parole si accordavano col battito accelerato del suo cuore.
– Quante volte – prese a dire ad alta voce – sono entrato indegnamente nel tuo santuario. Io, indegno, osai partecipare ai santi sacramenti. Non oso alzare gli occhi, né le palpebre, tanta è la mia vergogna. Lo so, Signore, che non merito di ricevere il perdono dei miei peccati, ma tu abbi pietà di me.
Pregò poi con la preghiera che recitava ogni giorno alla Messa. Mai l’aveva sentita così vera.
– Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, liberami da ogni colpa e da ogni male, fa’ che sia sempre fedele alla Tua legge e non sia mai separato da Te.
Dall’alto della croce, Gesù ascoltava il grido del suo servo così umiliato che lo implorava.
– Mio Signore – proseguiva il padre Teofilo – Dio di tenerezza e di bontà, donami le lacrime perché il mio cuore si riscaldi con le lacrime del mio amore per Te. Lavami col sangue prezioso che hai versato dalle tue sante piaghe.
– Vieni, benedetto del Padre mio – lo interruppe Gesù.
Il crocifisso che finora era rimasto in silenzio, riprese a parlare. Il buon padre si sentì come il figlio prodigo tra le braccia del padre misericordioso: era morto ed ora era tornato in vita. La festa – anzi no, la Messa – poteva finalmente incominciare.
Un’emozione così non l’aveva provata nemmeno il giorno della sua ordinazione sacerdotale e neppure la mattina successiva quando celebrò la sua prima Messa.
Solo dopo la comunione, nel tempo del ringraziamento, riprese il dialogo tra i due. Ora il padre se ne stava seduto sulla sedia rivestita di velluto rosso e Gesù al solito posto.
La vista del dipinto della volta del presbiterio raffigurante il pellicano aveva messo in cuore al padre Teofilo di cantare l’antico inno eucaristico Adoro te devote, e quando arrivò alle parole “Pie pellicane, Jesù Domine…” (o pio Pellicano, Signore Gesù, purifica me, immondo, col Tuo sangue, del quale una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato) si infervorò a tal punto che il canto gregoriano sembrò trasformarsi in canto lirico, tanta era la passione che ci stava mettendo.
Mentre cantava gli passavano davanti i volti di tanti fratelli e sorelle che non potevano essere lì con lui e che non potevano ricevere nemmeno una “goccia” del dono immenso dell’Eucarestia. Gli sembrava un sacrificio troppo grande e, benché avesse ben chiaro il valore dell’obbedienza, rimaneva in lui un fondo di dubbio.
– Lo so cosa stai pensando – era di nuovo Gesù che gli parlava – Ti sembra che la decisione dei tuoi superiori di farti celebrare a porte chiuse sia segno di poca fede, ma ti sbagli. Ti ricordi quando la tua nonna ti ripeteva il proverbio “non cade foglia che Dio non voglia”? Nella sua saggezza contadina non si sbagliava. Non temere. Sono io che tengo le redini della mia Chiesa e se qualche volta hai l’impressione che sia come una carrozza che procede all’impazzata, puoi stare tranquillo che le redini non le cedo a nessun altro. Al tempo giusto saprò anche tirarle. Tu, fidati.
– Gesù, ma cosa potrebbe accadere a uno che viene in Chiesa? Insomma può andare a comprarsi un sigaro dal tabaccaio e non può venire da te.
– E chi l’ha detto che non può venire da me? Credi forse che io sia confinato in Chiesa? Hai dimenticato che sono in cielo, in terra e in ogni luogo? Quello che vorrei tanto è fare di ogni casa e di ogni famiglia la cattedrale più bella in cui torni a risplendere il vero amore, quello che procede dal Padre mio e trasfigura ogni relazione umana.
– Me lo immaginavo che c’era il tuo zampino.
– Certamente, Padre Teofilo. Io scrivo dritto sulle righe che voi tirate storte. Sono io che vi vengo a cercare e spesso e volentieri mi lascio trovare proprio là dove non avreste mai creduto di trovarmi.
– Come hai fatto con la Samaritana al pozzo.
– Proprio così. Lei non si immaginava mica di trovarmi, io invece ero là ad aspettarla.
– Alla fine si dimenticò persino della brocca con l’acqua tanto era ubriaca del tuo amore.
– Quello che prima ti ho detto a proposito di certe comunioni che sono un rosicchiare l’ostia vale per tutti, sai? Tu non sai quante persone si accostano a ricevermi nella Santa Comunione in maniera indegna. Alcuni si vantano addirittura di non confessarsi mai, altri di andare contro le leggi della mia Chiesa, altri lo vivono come fosse un diritto o una cosa scontata. Un po’ di digiuno servirà a far crescere il desiderio. Se sapranno fare silenzio dentro di sé per accogliermi dirò loro cose mai ascoltate, sigillerò in essi segreti e verità che nemmeno ti immagini, rinnoverò ogni relazione regalando a tutti coloro che mi ameranno con cuore sincero una libertà e un amore finora solo lontanamente pensati.
– Se lo dici tu, mi fido. Certo è che ci stai facendo vivere una quaresima un po’ insolita.
– È un dono. Vi porto con me nel deserto. Non hai letto nel Vangelo che alla fine dei quaranta giorni ebbi fame. Mi addolora vedere che il Sacramento del mio Corpo donato e del mio Sangue versato per molti è diventato un’abitudine, per altri un diritto e non più un dono.
– Questa epidemia, Gesù, ci sta chiedendo un bagno di umiltà. Siamo fragili, siamo piccoli, siamo attaccabili, abbiamo bisogno di aggrapparci a una roccia e l’unica roccia vera sei tu.
– La prova di questa epidemia è un avvertimento. Deve farvi riflettere, per spingervi sulla strada del bene. Non perdete l’occasione. Vedi, Teofilo, in questi giorni alle persone costrette a rimanere in casa è offerta la possibilità di comprendere il vero valore della Messa, soffrendone per la mancanza, di ritrovare la grazia di pregare insieme, di parlarsi, di chiedersi perdono di tante mancanze d’amore, di spendere un po’ di tempo per giocare con i figli, di aprire il cuore a chi è nella sofferenza e nella malattia.
– Quanta sofferenza, Gesù! Una delle cose più terribili è la solitudine in cui tante persone sono costrette a morire.
– Chi muore non è mai solo. Io sono sempre accanto a loro. Se non può arrivare un mio ministro, uso sempre una grazia “di emergenza” per dare all’anima di conoscersi e affidarsi a me in quel momento estremo. Raccogli ogni giorno tutto questo dolore e offrimelo quando sei all’altare, affinché nulla vada perduto.
– È un tormento anche per i loro parenti, sai.
– Ogni lacrima versata cade nel mio cuore. Invita i tuoi fedeli a contemplarmi con gli occhi del loro cuore ferito e addolorato per le privazioni che stanno vivendo e ti assicuro che farò loro assaporare il gusto del Cielo e li riempirò di una grande pace che nessuno di noi può immaginare né mai più perdere. Mi possederete nella misura in cui conserverete questa pura disponibilità del vostro cuore. Se vi sembra che vi chiedo molto è soltanto per donarvi tutto, per donarvi me stesso.
Il dialogo tra i due proseguì a lungo. Il tempo era come se si fosse fermato. Padre Teofilo fece un’infinità di domande a Gesù, che erano poi le domande della sua gente. Comprese che Dio non abbandona mai il suo popolo, ma che tutto, proprio tutto – come insegna San Paolo – concorre al bene per coloro che amano Dio.
Gesù gli fece ben comprendere che ciò che più lo ferisce è la pochezza della fede e la mancanza della fede, per questo ora più che mai chiede a ciascuno di rimetterlo al centro con le parole di San Pietro, cioè della Chiesa “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”
Gesù mise nel cuore del padre Teofilo la certezza che anche nella tempesta lui è sulla barca e vigila, non dorme, e lo incoraggiò a consolare la sua gente con la stessa consolazione con cui aveva consolato il suo cuore.
Mentre Gesù gli parlava, il cuore di quel burbero prete di campagna si riscaldava. Padre Teofilo sentiva crescere dentro di sé il fuoco della Pentecoste. Sentì pure il bisogno di non tenere per sé tutti quei doni, ma di farne parte ai suoi. Già, ma come? Primo, le relazioni umane erano davvero ridotte al minimo a causa dell’epidemia che teneva tutti chiusi in casa; secondo, mica poteva riferire di quel dialogo col crocifisso. Come poteva sperare che gli avrebbero creduto? Così gli venne l’idea di scrivere una lettera e poi passare casa per casa e lasciarla nella cassetta della posta. Gesù, che legge dentro ai cuori, lo incoraggiò a farlo.
Teofilo avrebbe voluto fermare il tempo, affinché quel dialogo a voce alta con Gesù non cessasse mai più, ma comprese che anche a lui ora era chiesto di scendere dal Tabor. Ne ridiscese col cuore commosso e grato.
Si segnò con l’acqua benedetta e lasciò la Chiesa per far rientro in canonica. Chiuso l’uscio, si precipitò a tirare fuori dal cassetto la sua macchina da scrivere. Aveva tante cose da comunicare alla sua gente. Prese un foglio immacolato, lo inserì diligentemente nella sua vecchia Olivetti e cominciò a scrivere. Il ticchettio dei tasti rimbombava nel suo studiolo. Dopo le prime sedici battute si arrestò improvvisamente. Quell’esordio non lo convinceva. Estrasse il foglio sul quale si leggeva “Cari Parrocchiani”, lo accartocciò e ne inserì uno nuovo.
Le sue dita ripresero a scivolare sui tasti: “Miei cari figli, desidero raggiungervi uno ad uno. Avevo in cuore di scrivervi tante cose, ma ora è come se tutto si fosse cancellato nella mia mente. Solo una cosa vi voglio dire e, per giunta nemmeno con parole mie, ma chiedendo in prestito le parole di Gesù alla Samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. È tutto. Quando questa prova sarà finita vivremo insieme la Risurrezione, anche se non coincidesse cronologicamente con la Pasqua. Vi benedico. Vostro, padre Teofilo”.
Questa è la coinvolgente storia che vide protagonisti il Padre Teofilo, il topo Emilio e Gesù. Nessuno mai seppe dove si trovasse quel villaggio di nome Kairnac e nemmeno se le cose raccontate fossero realtà o leggenda. Nessuno seppe più nulla di padre Teofilo. Nemmeno del topo Emilio. Gesù invece è lo stesso ieri, oggi e sempre.
Lode a Dio per padre Teofilo, io penso che questo sia il modo di stare vicino alle pecore che Gesù affida ai suoi pastori. In un momento di deserto immenso è un modo per avvicinarsi “all’Acqua” che disseta per sempre. Ringrazio Dio per il dono di questo “racconto” che per un quarto d’ora mi ha distolto la mente da tanta preoccupazione e mi ha portato cuore a Cuore con Gesù.
Lode a Dio per inostri Santi sacerdoti.
Un grande abbraccio.
Tina e Massimo Bazzani.
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Grazie don Paolo, vera consolazione. Daniele Marchese
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Lo farò leggere a più persone possibili sperando di fare nascere in loro, con questo bellissimo racconto, tanta ma tanta fiducia in nostro Signore e grande riconoscenza verso i nostri sacerdoti che con ogni mezzo cercano, nonostante tutto, di arrivare alle nostre case, di non farci sentire soli e di portare sempre la parola di Dio.
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Grazie Padre Teofilo, ma bisognerebbe chiamarti Padre Teoforo.
Un peccatore
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È troppo bella, come dire che più di una intuizione è una grazia di Gesù concessa al suo figlio……………..
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Nella notte non riesco a dormire e il Signore mi consola con questo bellissimo racconto “ Quello che vorrei tanto è fare di ogni casa e di ogni famiglia la cattedrale più bella in cui torni a risplendere il vero amore, quello che procede dal Padre mio e trasfigura ogni relazione umana.“ che cosa stupenda che invito meraviglioso! Grazie Gesù per avermelo detto e chiesto con questo racconto! Lode allo Spirito Santo per come agisce nel cuore dei Suoi Pastori
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