Sempre al tempo del coronavirus
La cicogna nel cielo
conosce il tempo per migrare,
la tortora, la rondinella e la gru
osservano il tempo del ritorno;
il mio popolo, invece, non conosce
l’ordine stabilito dal Signore.Ger 8,7
Quando il mese di maggio bussa alla porta, nel cuore rinasce la speranza, vuoi perché maggio è il mese delle rose, delle spose e delle mamme, ma soprattutto perché è il mese della Mamma delle mamme, è il mese di Maria.
Il cielo di Kairnac in quel primo giorno di maggio sembrava più bello del solito e, come d’abitudine, il Padre Teofilo si avviava alla Chiesa per la liturgia del mattino. Prima di prendere posto nella panca a metà navata, passò ad accendere una candela alla sua dolce Regina e in quel momento si ricordò di quella volta in cui la piccola Giacinta – una bimba che ogni mattina passava con la sua nonna a dare un bacio alla Vergine Maria – gli chiese cosa fosse la devozione alla Madonna. Forse Giacinta aveva sentito quella difficile parola – devozione – sulla bocca della nonna o chissà dove.
Devozione significa donare tutto alla Madonna – aveva risposto allora alla piccina. Non si poteva dire meglio in poche parole!
In quell’inizio di maggio, padre Teofilo era particolarmente desideroso di rinnovare la sua donazione alla Santa Vergine con più amore, con più generosità e con più trasporto. A ben pensarci, l’esempio supremo di devozione alla Madonna lo riceviamo nientemeno che da Dio stesso che per primo si donò a Maria e si donò a Lei in modo così perfetto da farsi suo Figlio! In questo senso Gesù fu il primo e sommo devoto di Maria Santissima. Non è forse straordinario tutto questo? Dio ci ha dato l’esempio supremo di infinito valore e di infinita bellezza. Se Dio si è donato a Maria fino a diventare ed essere suo Figlio, anche noi dobbiamo donarci a Maria fino a diventare ed essere suoi figli.
Nello spazio di un’Avemaria, con questi pensieri per la testa, padre Teofilo omaggiò la sua dolce Signora di tre rose rosa (ciò che è trino è divino) appena raccolte nell’aiuola del sagrato.
E ti pareva che non mi pungessi! – sbottò portandosi l’indice alla bocca.
Doveva ben saperlo che non c’è rosa senza spine. Ahimè, questo era un tasto dolente perché erano quelli giorni di spine, acuminate e dolorose a motivo della terribile pandemia di coronavirus che da due mesi teneva la gente in quarantena, chiusa nelle case e lontano dalla celebrazione della Messa, dal lavoro, dagli affetti più cari, dalla scuola, dai leciti divertimenti.
Quelle spine iniziavano a lasciare i segni e padre Teofilo era preoccupato che quei segni potessero diventare indelebili e, guardando il volto della Vergine alla quale aveva fatto voto, si chiedeva, o meglio le chiedeva, cosa potesse fare per contrastare lo scoraggiamento che stringeva il cuore della sua gente. Un dolce canto gli affiorò nel cuore prima ancora che sulle labbra: era l’antica antifona mariana del Sub tuum presidium che, tradotta in italiano dice così:
Sotto la tua protezione
cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le suppliche
di noi che siamo nella prova,
ma liberaci da ogni pericolo,
o Vergine Gloriosa e Benedetta.
La cantò ad alta voce – tanto non c’era nessuno – e poi sedette come suo solito nella panca a metà Chiesa e si raccolse in preghiera.
Il silenzio dell’orazione fu interrotto solamente dal rumore dei passi che ormai aveva imparato a riconoscere da lontano: erano quelli del suo fido braccio destro che gli amici chiamavano in tono scherzoso Fra Cipolla, in ragione della sua passione per l’orto, ma soprattutto per la sua proverbiale produzione annua di cipolle rosse, che poi generosamente regalava a destra e a manca.
Anche Fra Cipolla andò ad accendere una candela alla Vergine e poi sedette in una panca nella fila opposta a quella di padre Teofilo per fare le sue preghiere. Passarono sì e no tre minuti d’orologio e con la coda dell’occhio padre Teofilo notò qualche strano segno di agitazione provenire dal suo affezionato Sancho Panza (un po’ di pancetta non gli faceva certo difetto).
Hai visto? – chiese meravigliato Fra Cipolla.
Cosa? – replicò il padre.
Guarda per aria. È entrata una rondine in Chiesa.
E così tralasciando l’uno il breviario e l’altro le orazioni, i due si misero a indagare da quale pertugio potesse essere entrata. Ci mancava solo questo. Si guardarono attorno, anzi no, guardarono per aria per vedere che non ci fossero vetri rotti nelle finestre della Chiesa, ma tutto appariva assolutamente nella norma. Da dove allora poteva essere entrato quel piccolo uccellino passeriforme?
Prima ancora di trovare una plausibile risposta, la mente di padre Teofilo era partita per la tangente e già stava sfogliando il libro dei Salmi laddove si dice:
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio.
Gli sovvenne pure un altro passo della Scrittura in cui il profeta Isaia prega così:
Come una rondine io pigolo,
gemo come una colomba.
Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto.
Signore, io sono oppresso: proteggimi.
Gli sembrò molto bella quella visita, la sentì come una dolce carezza e questo pensiero non fu sopraffatto nemmeno dalla comprensibile preoccupazione per le tovaglie degli altari.
Tra i volteggi della rondinella e quelli della sua mente e le ipotesi di Sherlock Cipolla i due si convinsero che la rondine era entrata in Chiesa come tutti, cioè dal portone che padre Teofilo aveva lasciato aperto per far circolare un po’ di aria di primavera.
E adesso come la mandiamo fuori? – chiese Fra Cipolla
Bella domanda.
La rondinella intanto, dopo un iniziale senso di spavento misto a smarrimento, sembrava trovarsi a suo agio nella Casa di Dio, come se avesse dimorato lì da sempre.
Lascerò spalancato il portone così prima o poi uscirà – esclamò padre Teofilo, allargando la braccia e inarcando un poco le folte sopracciglia.
Speriamo. Io vado. A domani. E così Fra Cipolla, ridendosela sotto i baffi – come chi dice voglio proprio vedere – se ne tornò alle sue occupazioni domestiche.
In chiesa rimasero la rondinella, che nel frattempo si era accomodata su uno dei tiranti del soffitto, e il buon padre che ritornò al suo breviario, cercando di non lasciarsi distrarre dal pensiero del piccolo pennuto. La preghiera che si era interrotta al Salmo 50, il ben noto miserere, da lì ripartì, quando d’un tratto si levò un dolcissimo quanto inaspettato canto. La rondinella sembrava volesse prender parte alla lode unendo i suoi gorgheggi alle parole del salmo:
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Riiiiiiiih, riiiiiih, ciiirp, ciiiirp – intervenne la rondine.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.
Riiiiiiiih, riiiiiih, ciiirp, ciiiirp, ciiip, riiih – rispose la rondine con il suo mistico garrito.
Padre Teofilo si commosse di fronte a quel dolce e inimitabile canto che non accennava a fermarsi. Alzò gli occhi alla rondinella e le fece un sorriso riconoscente, come a dire: se vuoi preghiamo insieme.
Ti chiamerò Eufrasia – le disse dopo averci pensato un attimo con voce non troppo forte per paura di spaventarla – per l’ilarità che diffondi e che rende il mio animo sereno.
Mi piace questo nome – lasciò intendere Eufrasia con un semplice cenno del capo e puntando un po’ in avanti il becco per non interrompere il canto che aveva intonato.
La preghiera proseguì a due cori. Quei dolci pigolii alimentavano nel cuore di padre Teofilo la certezza che la preghiera che a nome di tutta la Chiesa stava offrendo nella liturgia di lode arrivasse più pura davanti al trono dell’Altissimo.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
A queste parole partì uno struggente assolo della rondine che lasciò ancor più incantato padre Teofilo. Quel canto melodioso gli infondeva la persuasione che davvero il Cielo era disceso quaggiù sulla terra in soccorso all’intera umanità ferita.
Giacché il canto non accennava a finire, padre Teofilo chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla sua fantasia. Di fronte alla bellezza di quel cinguettio provò dolore per le tante, troppe, parole sgraziate e senza amore udite in quei giorni e che pure erano uscite dalla sua bocca. Pregò il Signore di dargli una maestra di canto, disposta ad insegnare non solo a lui ma a tutti quanti il canto nuovo dei discepoli del Risorto per fare della vita un canto di lode a Dio.
Ecco subito esaudita la sua preghiera. La risposta gli venne data per mezzo della piccola Eufrasia che, abbandonato il tirante dove se ne stava posata, volò fino all’altare della Madonna del Rosario e si fermò sulla cornice appena sopra la corona della Vergine.
Ecco la tua nuova maestra di canto – disse con fare dolce Eufrasia. Sveglia, riiih, rihhh, cirp cirp!
Dici a me? rispose padre Teofilo, riaprendo di scatto gli occhi.
A chi sennò? Vedi qualcun altro qui in chiesa? – lo punzecchiò prontamente il batuffolo di piume bianconere. Hai chiesto a Dio una maestra di canto e lui l’ha scelta apposta per te, la migliore che ci sia.
Gli occhi di padre Teofilo si inumidirono di lacrime. Non gli pareva vero tutto quello che stava succedendo e giungendo le mani al petto e poi subito allargandole e poi intrecciando le dita fece cenno alla Vergine Maria come chi attende di essere rassicurato.
Un raggio di sole illuminò in quell’istante il volto della Vergine Maria rendendolo più sorridente del solito. Era la conferma che cercava: padre Teofilo si convinse di essere stato preso come nuovo allievo.
In quei giorni le scuole del paese continuavano ad essere chiuse a causa della pandemia, non così, a quanto pare, la scuola di Maria perché la scuola dell’amore non chiude mai. C’era posto per lui e per tutti i suoi parrocchiani. Non vedeva l’ora di farlo sapere a tutti e di invitarli a iscriversi in fretta, rassicurando che per il momento si potevano seguire le lezioni da casa, senza aver bisogno di né di smartphone né di wireless. Non aveva dubbi che affidandosi a lei, Maria avrebbe messo in piedi una Schola cantorum eccezionale e per di più nel giro di breve tempo. Password di accesso per l’iscrizione: corona del Rosario. Costo zero.
Chiama tutti a raccolta – esclamò Eufrasia che si era spostata poco più in là a motivo del raggio di sole – e ricordati sempre che nessuno è stonato quando si cantano le lodi di Dio Altissimo.
Dopo aver detto queste ultime parole, Eufrasia fece un volteggio acrobatico sotto l’affresco centrale della volta nel quale è raffigurato il ritrovamento della Santa Croce da parte di Sant’Elena imperatrice, e se ne uscì dalla Chiesa.
Padre Teofilo corse verso il portone spalancato, dispiaciuto di doversi separare della rondinella, ma prima che giungesse sulla soglia, ecco Eufrasia rientrare di nuovo ancor più leggiadra per un ultimo saluto a Gesù nascosto. Due giravolte, una breve sosta sul solito tirante col becco puntato al Tabernacolo, due note armoniose e via al suo destino. La sua voce ora si mischiava con quella di tutte le altre rondine che erano tornate a fare i loro nidi in quel ridente fazzoletto bucolico di Kairnac.
Il buon padre Teofilo ritornò al posto dove aveva lasciato il suo breviario. Gli sembrava di camminare un metro da terra tanto il cuore era pieno di quello che gli era capitato. Fu tuttavia il pensiero che i fedeli ancora non potevano venire alla Messa a riportarlo immediatamente e dolorosamente al piano del pavimento, anzi a sprofondarlo pure più sotto. Erano ormai due mesi che celebrava ogni giorno da solo. È vero che gli erano tutti presenti, ma non era la stessa cosa. I fedeli erano lontani dall’Eucarestia da ormai troppo tempo. In quei giorni, in verità, il governo più o meno d’accordo con i vescovi (non si sa bene come andarono le cose) aveva fatto una concessione per la celebrazione dei funerali decretando che solo in quella circostanza si poteva celebrare la Santa Messa, ma con non più di quindici persone.
Che stranezza – pensò tra sé. Quindici persone col morto possono celebrare la Messa, ma quindici persone senza il morto non possono.
Questo proprio non lo capisco – disse ad alta voce un po’ per sfogarsi del nervoso e un po’ nella speranza che qualcuno gli rispondesse. Ma chi, se non c’era anima viva! Silenzio di tomba – per l’appunto – fu la risposta.
Come se gli fosse partito un tic improvviso, si voltò di scatto e rimase immobile, come impietrito, davanti alla statua lignea del Cristo morto. Forse state già immaginando quello che gli balenò nella mente.
Signore, ho trovato – disse deciso al Cristo. Il morto c’è e da domani posso celebrare Messa con una manciata di persone.
Complimenti padre Teofilo – rispose il Cristo morto. A fantasia non ti batte nessuno.
Dici davvero?
Che credi, che ora mi metta pure a scherzare!
Grazie Signore che almeno tu mi capisci e non mi fai mancare il tuo sostegno.
C’è solo un piccolo problema.
Quale?
E da quando i morti parlano? Vorrai mica far credere a tutti che sono morto.
In che senso, Signore?
Che pensi, di tacere della mia risurrezione? Fino a ieri nelle prediche gridavi a pieni polmoni “Cristo è risorto e vivo” e oggi sei già pronto a rimettermi nella tomba?
Gesù, non andare troppo per il sottile, non stare a guardare proprio tutto, in fondo lo faccio per te, perché i fedeli possano tornare a incontrarti.
E quindi vorresti spacciarmi per un morto. Come la metti con le parole di San Paolo che dice se io non sono risorto la vostra fede è vuota: “Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti”.
Ho ben presente quel passo di San Paolo.
Vorrei ben vedere – lo ammonì il Cristo.
Si, cioè no, voglio dire – con evidente imbarazzo mentre si infilava l’indice nel collare della veste, padre Teofilo farfugliava – lo so che sei risorto, ma anche se non lo dico chiaramente non significa che… Ho capito, mi arrendo.
Padre Teofilo arrossì e si vergognò di quella pensata che pure gli sembrava potesse salvare capra e cavoli ma che, evidentemente, non piaceva al suo “capo”. Comprese che se avesse messo il Cristo al centro della navata sul catafalco spacciandolo per morto non avrebbe ucciso il Cristo che non muore più perché vive la vita immortale, ma la speranza dei suoi che anelano a risorgere.
Che farò allora Signore?
Abbi pazienza, ancora per un po’. L’oscurità di questi giorni falla diventare come il seme che germina sotto terra. Non perderti d’animo. La rondinella che ti ho mandato è venuta per dirti che l’inverno è finito e la primavera è ormai alle porte. Da’ retta a quello che ti ha detto Eufrasia.
Bel nome vero? – padre Teofilo cercò di cambiare discorso per riparare alla figuraccia che aveva appena fatto.
Corri – gli disse sorridente il Cristo, che così lo assicurava del perdono accordato – veloce che la mia Mamma ti sta aspettando per la prima lezione di canto nuovo.
Corro a prendere il quaderno – disse emozionato padre Teofilo.
Non ti serve un quaderno, basta la corona del Rosario! Aggrappati ad essa come l’edera si aggrappa all’albero. Corri o farai tardi. Le ho visto tra le mani lo spartito della Sequenza di Pentecoste.
Grazie Gesù, vado.
Ricorda a tutti che chi desidera frequentare la scuola dell’amore deve stare con la mia Mamma.
Padre Teofilo, chiuso il breviario, andò a inginocchiarsi all’altare della Madonna del Rosario. Fece il segno della Croce, strinse tra le mani la sua corona: “O Dio, vieni a salvarmi… nel primo mistero della gioia si contempla la visita dell’Angelo Gabriele alla Vergine Maria”.
Grazie, Maria per il tuo amore, per la tua disponibilità, per il tuo sì, per tutti i tuoi sì. Il Signore ha appoggiato sopra il tuo sì tutti i suoi progetti e la tua risposta ha cambiato la storia. Sei rimasta fedele e umile fino alla fine. So di non esserne degno, ma so anche che tu ami i peccatori e che li cerchi continuamente. Vieni o Madre del bell’Amore e dirigi i nostri passi, aiutaci ad essere umili e obbedienti, ad essere disponibili e sempre pronti a fare la volontà del Padre.
Il tempo volò. Padre Teofilo non vedeva l’ora di iniziare la seconda lezione, e poi la terza, la quarta e così via. Anzi no, comprese che la scuola dell’amore non ha orari e sta a noi non bigiare le lezioni.
Lasciò la Chiesa salterellando con un bambino. Uscì passando per il fatidico portone, ma poi volle per un istante rimettere dentro il naso per dire un’ultima cosa a Gesù nascosto.
Signore tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene.
Grazie Don Paolo vorrei iscrivermi alla scuola d’amore alla Scuola del canto più bello che esista perché tutto ciò che faccio possa essere fatto solo per Amore per Gesù
Michela
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