UN ASSAGGIO DI PARADISO
Le campane della Chiesa di Kairnac rintoccavano l’Ave Maria della sera, ma Padre Teofilo non le udì perché si era addormentato come un sasso sulla poltrona del suo studiolo. Che era mai capitato all’indomito monaco? Al mattino, approfittando di un tiepido sole autunnale – uno degli ultimi prima del grande inverno – si era recato dal suo confessore, il caro Padre Filarete, come da anni era solito fare ogni venerdì, solo che questa volta decise di andarci a piedi camminando tra i campi, con l’intenzione di offrire quel piccolo pellegrinaggio per alcune intenzioni che portava nel cuore e che gli stavano particolarmente a cuore.
Gli ci vollero quasi due ore per arrivare dal Padre Filarete. In verità ci aveva messo molto più tempo del previsto giacché, strada facendo, optò per una sosta alla Chiesetta della Madonnina, un piccolo oratorio campestre al cui interno vi era dipinta una dolcissima Madonna tutta intenta a reggere con le sue mani grandissime un paffuto e altrettanto dolce Gesù Bambino. Quelle mani sproporzionatamente grandi gli ispiravano fiducia e sicurezza e così ogni volta che poteva andava a supplicare la Mamma del Cielo di tenerlo stretto a sé proprio come faceva con il Bambino Gesù. Inginocchiatosi davanti all’immagine della Vergine, Padre Teofilo rimase in silenzio a contemplarne il volto fino a perdersi nella bellezza di quegli occhi. Gli riecheggiava nel cuore una preghiera a lui tanto cara di uno scrittore francese:
È mezzogiorno. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare.
Madre di Gesù Cristo, non vengo a pregare.
Non ho niente da offrire e niente da domandare.
Io vengo soltanto, Madre, per guardarvi.
Guardarvi, piangere di felicità, dire questo,
che io sono vostro figlio e che voi siete là.
Solo per un momento mentre tutto si ferma.
Non era ancora mezzogiorno, in verità, ma ugualmente quelle parole le sentiva più che mai sue e nel silenzio abitato dal dolce canto di qualche uccellino, lasciò che il suo cuore liberasse un canto di lode alla Regina del Cielo e della Terra.
Ridisceso sulla terra, riprese a passo deciso il suo cammino e arrivò dal Padre Filarete che lo stava aspettando inginocchiato davanti al tabernacolo della sua Chiesa. Di una cosa il confessore e il penitente erano certissimi, che cioè nel Sacramento della Riconciliazione si realizza un incontro, il più straordinario che ci sia, l’incontro tra il ferito e il medico, tra il peccatore e il Santo, tra l’offeso e il Consolatore, tra uno che ha fame e Colui che sazia ogni fame e sete del cuore umano, tra uno che si è perso e Colui che lascia le novantanove pecorelle per cercare quella sola smarrita, l’incontro tra chi brancola nel buio e Colui che è la Luce che vince ogni tenebra, tra chi ha smarrito la strada e Colui che è la Via, tra uno che il peccato ha reso morto e Colui che assicura di essere la Vita.
Si inginocchiò sul vecchio inginocchiatoio della sacrestia, dove si erano spostati, e iniziò la sua confessione:
– Beneditemi, Padre, perché ho peccato.
– In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti – il Padre Filarete usava ancora il latino – Che ti capita, figlio?
– Padre, non mi confesso da una settimana, mi accuso di questi peccati … per i quali chiedo perdono.
Terminata l’accusa dei suoi peccati, si dispose ad ascoltare i sapienti suggerimenti e i consigli spirituali dell’anziano padre confessore, brevi ed essenziali come sempre. Accolse la penitenza sacramentale e dopo aver manifestato il pentimento dei peccati con l’atto di dolore ricevette con animo commosso il perdono dei suoi peccati.
Si alzò dall’inginocchiatoio e acconsentì al gesto della mano del Padre Filarete che lo invitava ad accomodarsi sulla sedia carica di anni e di tarli. Ogni volta che vi si sedeva, la testava con fare circospetto nel timore di ritrovarsi con le gambe all’aria. Anche quella volta la sedia diede solo qualche lieve scricchiolio, rivelandosi più solida di quello che poteva sembrare.
Si trattenne ancora una mezz’oretta a conversare delle cose dello Spirito. Tra le altre cose confidò al buon padre il pensiero, che da tempo gli occupava la mente, di ritornare in monastero per nascondersi definitivamente al mondo e consacrare la sua vita interamente alla lode divina e alla preghiera di riparazione nel silenzio.
– Se è volontà di Dio, egli ti condurrà nel posto che ha preparato per te. Prega con timore e tremore, con ardore, sobrietà e vigilanza. Stendi sovente le mani e ripeti: “Signore abbi pietà di me, come tu vuoi e come tu sai”.
Fu l’ora di congedarsi e Padre Teofilo si rimise in cammino per fare rientro a casa.
– Non prendere freddo alla testa, non lasciarti ingannare da questo timido sole – gli suggerì sapientemente Padre Filarete – e poi, vedo che la tua zucca comincia a pelarsi.
– Grazie del consiglio. Grazie di tutto mio buon padre! Il Signore vi benedica e vi conservi a lungo.
E così bel bello, Padre Teofilo tirò fuori dalla tasca della sua lunga sottana una papalina di lana nera che gli aveva fatto una cara monaca di clausura e se la mise in testa per ripararsi la zucca e per cercare di salvaguardare quel poco che gli era rimasto dentro.
Un po’ pregando, un po’ canticchiando e un po’ rimirando la bellezza della campagna se ne tornò in quel di Kairnac, non senza aver fatto di nuovo tappa alla Madonnina. Sulla facciata della Chiesetta rischiarata dal sole si intravvedeva la vecchia scritta che sovrastava la porta di ingresso: “Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa” (insieme con essa mi sono venuti tutti i beni). Era una citazione del Libro della Sapienza che si riferisce sia alla Sapienza che alla Vergine Maria che della Sapienza incarnata è la sede.
Si fermò a cantare con Maria il cantico del Magnificat in ringraziamento del perdono ricevuto. Era questa la penitenza sacramentale che gli era stata data dal padre confessore. Chiese alla Santa Vergine di intercedere per lui affinché il Signore non lo recidesse con la scure mortale come albero che non porta frutti, ma di poter terminare i suoi giorni nella penitenza, nell’obbedienza ai comandamenti, nell’adempimento della divina volontà. Un’ultima preghiera per tutte le anime a lui affidate.
Ad attenderlo al suo rientro nella Chiesetta del villaggio vi erano poche persone venute una per la confessione, una per una benedizione e una per una parola di conforto. Suonò poi la campana della Messa e altre accorsero per unirsi alla celebrazione del Santo Sacrificio. Terminata la Messa, Padre Teofilo prolungò il ringraziamento con un tempo di adorazione silenziosa davanti al Tabernacolo. Ogni tanto gli usciva qualche preghiera sussurrata a mezza voce:
– Io vengo a guardarti, io vengo ad ascoltarti, vengo per ricevere da te tutto ciò che il tuo Cuore aperto desidera dirmi e donarmi.
– Lodo la tua misericordia, confesso la tua potenza redentrice, mi metto in Spirito davanti al tuo Volto Eucaristico per adorarti con tutto il cuore.
– Ti consegno la mia umanità con le sue ferite e le grazie ricevute, ti dono il mio passato, ti prego di donarmi la Grazia di camminare in novità di vita.
– O Gesù uniscimi a te, il mio corpo al tuo Corpo, il mio sangue al tuo Sangue, la mia anima alla tua Anima, il mio cuore al tuo Cuore.
Si era fatto già buio quando Padre Teofilo rientrò in canonica. Si accomodò sulla sua poltrona sgranocchiando un pezzo di pane secco con l’intenzione di leggere qualche pagina della poderosa biografia di un vecchio Papa che gli era stata regalata, ma la stanchezza prese il sopravvento e in men che non si dica sprofondò in un sonno così profondo dal quale si risvegliò di soprassalto, qualche ora più tardi, a causa del gran tonfo che il libro che si era proposto, senza successo, di leggere causò cadendogli dalle mani.
Ci mise un po’ a riprendersi e a capire dove fosse e cosa fosse successo. La luce della lampada rimasta accesa gli permise di mettere subito a fuoco il colpevole di quel brusco risveglio. Si abbassò per raccogliere il libro, guardò l’orologio e si rese conto che era da poco passata la mezzanotte. Non gli restava che dirigersi verso il letto, sennonché dando un rapido sguardo fuori dalla finestra notò che luci della Chiesa erano accese.
Si chiese come fosse possibile che avesse dimenticato di spegnere le luci, eppure – benché frastornato dal repentino risveglio – era certo di aver spento tutto e chiusi scrupolosamente i catenacci del portone.
– Saranno mica entrati i ladri? Il solo pensiero lo inquietò.
– Ma no – si disse per cercare di placare il batticuore che gli era venuto – vuoi che i ladri accendano le luci? Chissà dove ho la testa. Preso da mille pensieri avrò dimenticato di abbassare l’interruttore quando ho chiuso la Chiesa.
– No, no, no, un bel niente – riprese parlando tra sé e sé. Ricordo bene di averle spente.
Cominciò a insospettirsi. Decise allora di scendere a vedere. Non poteva nemmeno chiamare qualcuno a dargli man forte, dato che era ormai notte. Si avviò solo verso la Chiesa – con la sua immancabile talare nera che non si era ancora levato – ma dopo pochi passi ritornò in casa alla svelta, ricordandosi che dietro l’uscio conservava un bel bastone di legno forte (“ad gasìa” come dicevano quelli del villaggio) che era stato utilizzato da San Giuseppe per il presepe vivente dello scorso Natale e che poi era rimasto lì parcheggiato in attesa di nuova collocazione.
– Sarà meglio che lo prenda con me, non si sa mai.
Giunto al portone della Chiesa, armato di bastone, dovette prendere atto che la porta era chiusa e non vi era alcun segno di scassinatura. Si convinse che non c’erano i ladri, ma quelle luci accese erano solo il frutto di una sua dimenticanza.
– E se fossero entrati da qualche finestra laterale? La paura che in fretta se ne era andata tornò immediatamente ad essergli compagna.
– Signore, dammi la forza!
Aprì la porta e brandendo con energia il bastone pronto a farlo assaggiare al primo brigante che gli fosse capitato a tiro rimase impietrito nel trovarsi di fronte una bellissima signora di anni non ben definiti, vestita di abiti splendenti e regali, con un manto di ermellino tempestato di gemme preziose, con tanto di corona dorata in testa.
– E questa chi è? – pensò tra sé credendo di sognare – La Regina di Saba in visita alla contea di Kairnac?
– No – rispose con solenne dolcezza la nobile matrona leggendo nel pensiero di Padre Teofilo – sono la tua imperatrice. Come, non mi riconosci? Eppure mi nomini tutti i giorni durante la Messa e porti sempre fiori freschi al mio altare!
– Sant’Elena?
– In persona. Piacere di fare la tua conoscenza.
Dire che Padre Teofilo rimase impietrito non rende l’idea di come reagì a quell’inaspettato incontro. Diventò dapprima così pallido che sembrava dovesse svenire da un momento all’altro, ma per fortuna aveva con sé il bastone che gli servì per non cadere. Si diede qualche pizzicotto sulle guance per accertare che fosse realtà quello che gli stava vivendo e ogni dubbio fu in fretta fugato.
– Benvenuto alla festa – intervenne Sant’Elena allungando la mano in cerca di quella di Padre Teofilo .
– Quale festa?
– C’è una cosa che devi sapere caro Teofilo.
– Non so se il mio cuore reggerà.
– Tranquillo, reggerà, reggerà. Devi sapere che sia io che gli altri amici di Dio collocati in questa Chiesa affidata al mio patronato, spesso ci stanchiamo di restare chiusi nelle statue o appesi alle pareti e così quando la Chiesa è chiusa scendiamo… per sgranchirci un po’. Questa notte potrai essere nostro gradito ospite. Vieni anche tu alla festa!
– Come, come? Temo di non aver capito. Vuole dirmi, maestà, che…
– Puoi darmi tranquillamente del tu – interruppe Sant’Elena.
– Come volete, cioè no, come vuoi, ecco sì, eh, ci provo.
– Non avere timore, vieni.
Non appena Padre Teofilo – seguendo l’invito della padrona di casa – si affacciò sulla navata della Chiesa, si trovò dinnanzi una cosa dell’altro mondo. Dal Tabernacolo si sprigionava una luce intensissima (ecco chiarito il mistero delle luci accese!) mai vista prima di allora. Si guardò rapidamente intorno e notò che non c’erano più le statue e tutti i quadri erano diventati bianchi, così pure erano scomparse tutte le raffigurazioni di angeli e arcangeli dalle pareti. Dove erano finiti tutti? Avevano lasciato le loro postazioni fisse ed erano tutti lì in adorazione di Gesù vivo. Se la Grazia di Dio non l’avesse sostenuto, sarebbe morto sul colpo. Si voltò verso Sant’Elena col fare di chi ha qualcosa da chiedere ma non trova le parole per esprimersi.
– Vieni – lo anticipò Elena – ho un po’ di amici fa farti conoscere. Avrai mica già dimenticato quello che hai detto questa sera nella predica commentando la lettera di San Paolo agli Efesini “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio?”. Non avrai mica preso quelle parole per scherzo?
Padre Teofilo, non si sa bene come, comprese che Sant’Elena desiderava presentargli uno ad uno i santi che “abitavano” la sua Chiesa e davanti ai quali non solo lui ma anche i suoi parrocchiani, si erano fermati più volte a pregare o ad accendere una candela.
E così la buona padrona di casa cominciò a chiamare gli amici di Dio che, uno ad uno si allontanavano momentaneamente, se così si può dire, dal trono dell’Agnello per venire a farsi conoscere da Padre Teofilo.
La prima ad accorrere era una giovinetta dal volto luminoso. Teneva in mano una candela accesa in ricordo di un miracolo avvenuto tanti anni fa.
– Lei è Bernadette Soubirous. Elena cominciò a fare gli onori di casa. Padre Teofilo non sapeva come si doveva comportare. Gli venne come di allungare la mano – come si usa fare normalmente – ma poi pensò che forse non era il caso. I suoi dubbi si dissiparono al vedere che era Bernadette a protendere verso di lui tutte e due le mani che Padre Teofilo afferrò al volo. Provò un’emozione grandissima. Quelle mani erano vere. Non solo, ma mentre quelle mani benedette stingevano quelle tremanti di Teofilo, la candela accesa rimase sospesa a mezz’aria.
– Cara Bernadette – il ghiaccio era ormai rotto – lascia che guardi i tuoi occhi che hanno visto la Vergine.
– Non ce n’è bisogno – rispose con un filo sottile e dolcissimo di voce la piccola veggente dei Pirenei – tra poco potrai vedere tu stesso direttamente la Bella Signora con i tuoi occhi.
Se il cuore di Padre Teofilo già batteva forte, dopo questa rivelazione, sembrava che dovesse uscirgli dal petto. Nel frattempo, mentre Bernadette se ne tornava da dove era venuta, si stavano avvicinando due giovani col saio marrone stretto in vita da una corda annodata.
– Ecco Francesco di Assisi e Antonio di Padova – intervenne Elena che era rimasta sempre al fianco di Padre Teofilo, il quale prontamente si inchinò per baciare l’estremità del cingolo di entrambi e poi prese tra le sue mani le mani del poverello di Assisi che ancora portavano i segni delle stimmate e le baciò teneramente sussurrando le parole “Mio Dio, mio tutto”. Di fronte poi al Santo di Padova si commosse ripensando all’amore verso di lui che gli era stato trasmesso fin da bambino: ogni anno la sua nonna Fanin lo portava in treno a pregare sulla sua tomba.
Fu poi la volta del grande dottore Tommaso d’Aquino. Quando Padre Teofilo si imbatté nella sua opera teologica durante negli anni degli studi fu amore a prima vista.
– Maestro Tommaso – esclamò estatico Padre Teofilo con gli occhi inumiditi per la commozione di trovarsi di fronte al suo grande maestro di teologia in carne e ossa – sapessi quante volte ho pregato con le tue ultime parole mentre ricevevi il Santo Viatico prima di chiudere gli occhi quaggiù per riaprirli sull’eternità.
– Lo so – rispose il dottore angelico – ogni volta che ripetevi quelle parole io ero al tuo fianco, anche se non potevi vedermi. Diciamole ora di nuovo insieme.
E i due si misero a pregare così: “Io Ti ricevo prezzo della redenzione della mia anima, Ti ricevo viatico del mio pellegrinaggio, per amore del quale ho studiato, vegliato, lavorato, predicato e insegnato; mai ho detto qualcosa contro di Te, e se l’ho fatto è per ignoranza, né mi ostino nel mio errore; e se ho insegnato qualcosa di errato, tutto affido alla correzione della Chiesa romana”.
Una consolazione indicibile invase il cuore di Padre Teofilo che già si apprestava a fare la conoscenza di Sant’Orsola. Misteriosamente la vergine Orsola era stata eletta a compatrona della Chiesa di Kairnac. Padre Teofilo era di fronte a una santa martire che aveva versato il sangue durante le persecuzioni di Diocleziano per la sua manifesta fede cristiana. Orsola gli raccontò che dopo essere stata torturata insieme alle sue undici compagne furono messe a morte a colpi di freccia. Sempre i cristiani sono minacciati per la loro fede ma, ieri come oggi, il sangue dei martiri continua ad essere seme di nuovi cristiani.
Sant’Elena continuò a presentare uno ad uno gli ospiti divini. Fu la volta del campione della fede che è Sant’Ambrogio, poi quel giglio di purezza di San Luigi Gonzaga, e poi la martire Agnese, Santa Lucia invocata come patrone della vista, San Giovanni Battista, col suo omonimo San Giovanni Evangelista, il discepolo prediletto. Alla vista di quest’ultimo Padre Teofilo si emozionò particolarmente poiché nella immaginetta ricordo della sua Prima Messa aveva voluto mettere proprio San Giovanni durante l’ultima cena reclinato sul petto di Gesù. Non furono necessarie le parole, ma bastò un solo sguardo per dirsi tutto. Più volte durante il tempo dell’adorazione eucaristica quotidiana a Padre Teofilo era sembrato che Gesù dall’Ostia santa gli dicesse: “Sii un altro san Giovanni per il mio Cuore. Offrimi riparazione e offrimi te stesso. Dammi la tua compagnia, la tua fiducia e il tuo affetto. Amami”. Ora non gli pareva vero di trovarsi di fronte all’apostolo che aveva cercato di imitare e al quale si sforzava di assomigliare. Non si riesce a mettere nero su bianco quello che passò nel suo cuore.
La processione non era ancora finita. Mancavano ancora all’appello San Domenico e Santa Caterina da Siena, che non tardarono ad arrivare. Santa Rita da Cascia si fece riconoscere dalla stimmata sulla fronte, ora gloriosa. Sant’Antonio abate trasmetteva la pace di chi ha lottato strenuamente contro il demonio e lo ha vinto con le armi della Grazia. Si fece poi avanti San Pietro, l’umile pescatore di Galilea divenuto la roccia su cui il Cristo ha edificato la sua Chiesa. Ciò che di lui colpì Padre Teofilo non fu tanto l’enorme chiave che portava con sé ma la bellezza dei suoi occhi che solo le lacrime di pentimento versate dopo il tradimento del Maestro e poi l’incontro con Lui risorto potevano aver reso così limpidi. Era come se quegli occhi parlassero e continuamente ripetessero: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene”.
Finalmente si fece avanti San Giuseppe che subito, con un sorriso nel quale traluceva tutta la castità del suo cuore e del suo corpo, prese dalle mani di Padre Teofilo il bastone che aveva portato a sua difesa. Non era forse servito a San Giuseppe (quello finto) per il presepe vivente? Ora era in mano a quello vero. Negli anni che seguirono quel bastone fu conservato come una reliquia preziosissima e ad esso Teofilo si appoggiava nei momenti di sconforto. Con San Giuseppe parlò della vocazione che gli fu data di vivere alla presenza di Maria Vergine e sposa e di fare da padre al Verbo di Dio fatto carne. Dalle parole che però non pronunciò e dunque dal silenzio di Giuseppe comprese di essere incoraggiato a consacrarsi a Maria come Vergine sposa e come Madre per vivere nella sacra intimità con Gesù. Intanto che conversavano di queste cose, fu proprio il casto Giuseppe ad accompagnare Padre Teofilio (scortato dalla padrona di casa) alla presenza della Vergine.
Maria era di una bellezza indicibile. Tutto in lei profumava di Dio. Come d’istinto Padre Teofilo cacciò la mano nella tasca della sua sottana e ne tirò fuori la corona del Rosario, il suo pane quotidiano.
– La corona del Rosario – era Maria che parlava – è il mezzo con cui attirò le anime a me per offrirle a mio Figlio. Il Rosario assicura alle anime la mia presenza e la mia protezione. Quando preghi il Rosario preghi in unione col mio Cuore Immacolato per mezzo del quale sei portato nel Cuore di mio Figlio che è il Re dei re ed è tutto misericordia. Il Rosario è il dono che Gesù ha voluto fare ai semplici e ai piccoli.
– Madre mia dolcissima – ora era Padre Teofilo a parlare – questa preghiera può aver avuto origine solo nelle altezze del Cielo e portata a noi sulla terra dall’arcangelo Raffaele (che nel frattempo si era avvicinato) il cui nome vuol dire medicina di Dio.
– Un lungo e sostenuto scambio di sguardi: – proseguì Maria – questa è la grazia del Santo Rosario. È una preghiera medicinale per le anime devastate dal peccato e dai suoi effetti, è l’applicazione di un divino medicamento su ciò che deturpa le anime create a immagine e somiglianza dell’Onnipotente.
– Tocca, ti prego, o Madre, la mia corona – così disse Padre Teofilo nell’atto di porgere alla Vergine il suo Rosario affinché lo benedicesse con la sua benedizione materna. I grani brillarono per un momento di luce mai vista e quasi senza accorgersene si ritrovò con tutti gli amici nel cuore della festa alla quale era stato invitato.
Tutti erano in ginocchio davanti a Gesù vivo nella Santa Eucarestia. Gli angeli, almeno un centinaio, facevano corona sopra le loro teste. Fu intonato il cantico dell’Agnello:
Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra.
Si levò, solista, la voce della Vergine:
– Figlio mio, Agnello immolato, tu sei degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione.
– A Colui che siede sul trono e all’Agnello – risposero tutti a una sola voce – lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli.
– Amen. E nel pronunziare quell’amen Padre Teofilo si svegliò. Aveva sognato di sognare. Un sogno che sembrava davvero reale.
Si era fatto ormai giorno. Sceso in Chiesa per la preghiera del mattino, il buon padre volle sincerarsi che tutto fosse in ordine. Tutto sembrava perfettamente a posto. Passando sotto il pulpito sentì come un colpetto di tosse. Sollevò la testa e notò che uno dei quattro angeli, con fare furbetto, gli aveva appena fatto l’occhiolino, facendogli venire il dubbio che non si fosse trattato solo di un sogno.
Che meraviglia…Mi si è fermato il tempo..
Ho smesso di correre e ne è valsa la pena
Mi sento rigenerata da tanta bellezza ,
Tutta vera …..
Rapita in questo scenario tra PERSONAGGI IMPORTANTI presentati con la semplicita’ dei Santi ho potuto gustare pur indegna , un anticipo di Paradiso..Grazie Signore,Grazie S Elena ,grazie p Teofilo _ don Paolo.
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