“Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, scrive San Paolo nella Lettera ai Romani. “Etiam peccata, anche il peccato”, chiosa audacemente Sant’Agostino. Tutto significa tutto, proprio tutto.
C’è un valore da trattenere in ogni cosa, un bene, almeno una virgola di bene e di buono da cui ripartire, per continuare ad essere liberi, per far sì che ogni situazione diventi occasione di crescita verso la verità sempre più piena. C’è un “nome nuovo” da scoprire – per dirla con le parole del Libro dell’Apocalisse (2,17) – quello col quale da sempre il Padre ci ha chiamato e amato nel Figlio.
Sono questi alcuni dei pensieri (da prete!) che sto portando con me nella preghiera di questi giorni, che mi assicurano della “buona novella” annunciata anche a noi sacerdoti in questa nuova sospensione non delle celebrazioni con il popolo (per il momento!), come fu per il precedente lockdown, ma delle varie attività pastorali. Mi sembra di scorgervi nuovamente una chiamata all’essenziale del nostro ministero sacerdotale.
Mentre si facevano largo in me questi pensieri, un’amica monaca di clausura mi ha segnalato questa densa e toccante pagina del diario di prigionia del Card. Van Thuan:
“Dopo il mio arresto, mi ritrovo nel campo di rieducazione di Vinh-Quang, in mezzo ad altri prigionieri tristi e malati, nelle montagne. Da nove anni sono in isolamento, solo con due guardie, una tortura mentale. Sono senza lavoro, nella vacuità assoluta, camminando nella cella dalla mattina fino alle nove e mezzo della sera per non essere distrutto dall’artrosi. Sono al limite della pazzia. Più volte sono tentato, tormentato dal fatto che ho 48 anni, età della maturità; ho lavorato 8 anni come vescovo, ho acquistato molte esperienze pastorali, ed ecco sono isolato, inattivo, separato dal mio popolo, a 1700 km di distanza! Una notte, dal profondo del mio cuore ho sentito una voce che mi suggeriva: “Perché ti tormenti così? Tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare, visite pastorali, formazioni dei seminaristi, di religiosi e religiose, laici e giovani, missioni per l’evangelizzazione dei non cristiani… tutto questo è un’opera eccellente, sono opere di Dio, ma non sono Dio! Se Dio vuole che tu abbandoni tutte queste opere, mettendole nelle sue mani, fallo subito, e abbi fiducia in lui. Dio lo farà infinitamente meglio di te; Lui affiderà le sue opere ad altri che sono molto più capaci di te. Tu hai scelto solo Dio, non le sue opere!”.
(Cinque pani e due pesci”, pag. 25-27, Ed. Buc).
Si tratta di distinguere tra Dio e le opere di Dio. Il Signore ci vuole qui e non altrove e proprio dentro questa situazione ci chiede di rinnovare la nostra scelta per lui. E così, quel “tu devi distinguere tra Dio e le opere di Dio”, mi ha fatto venire voglia di andarmi a rileggere con calma gli impegni che ogni sacerdote si è assunto solennemente il giorno dell’ordinazione. Straordinari!
Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?
Sì, lo voglio.
Per tutta la vita significa fino alla morte! Senza docilità allo Spirito Santo, che è il vero maestro interiore, sarebbe impossibile. Il sempre è anche un per sempre.
Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?
Sì, lo voglio.
Occorre rientrare dalle strade secondarie dove il maligno ci ha condotti per tenderci un’imboscata. Il sacerdote è per l’altare e l’altare per il sacerdote. Scriveva don Divo Barsotti: “Se il sacerdote all’altare deve conformare tutta la sua vita a Cristo e vivere la Messa come atto salvifico, è necessario che egli si “fonda” con il suo Maestro e diventi una sola cosa con Lui. Non sono storie, queste: “Vivo io ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20) non lo disse un pazzo esaltato, ma San Paolo. Egli era un mistico, uno “dentro” il quale viveva lo stesso Gesù. Io non sono Gesù Cristo, ma se sono in Grazia devo credere che Dio viva in me. Non sono io per primo che lo voglio: è Dio che urge e preme, senza forzare la mia libertà, per essere accolto. Se dico di sì, nella fede, Egli viene”.
“Se noi celebriamo la Messa pregando – disse Benedetto XVI parlando ai sacerdoti – se il nostro dire: “Questo è il mio Corpo” nasce veramente dalla comunione con Gesù Cristo che ci ha imposto le mani e ci ha autorizzato a parlare con il suo stesso Io, se noi realizziamo l’Eucaristia con intima partecipazione nella fede e nella preghiera, allora essa non si riduce ad un dovere esterno, allora l’ars celebrandi viene da sé, perché consiste appunto nel celebrare partendo dal Signore e in comunione con Lui, e così nel modo giusto anche per gli uomini” (14 settembre 2006).
Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?
Sì, lo voglio.
Il sacerdote serve il popolo di Dio che gli è affidato principalmente con la preghiera assidua, che fa di lui un intercessore, cioè un uomo del confine, che sta tra due fuochi, nella delicatissima posizione di chi è completamente esposto e si assume la responsabilità del popolo peccatore e lo porta davanti al Dio misericordioso. Altro non è se non la posizione di Gesù sulla croce: “Egli è stato annoverato tra gli empi, mentre portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,12). La prima preghiera a cui è chiamato il sacerdote è la Liturgia delle Ore. Se egli non prega, la Chiesa diventa muta. Nella liturgia delle Ore è la Chiesa-sposa che parla allo Sposo e questo deve riempirci il cuore: essa ci rivela davvero Cristo, mentre ci fa partecipare al suo mistero.
Ancora Don Divo diceva che quando preghiamo l’ufficio divino noi siamo garantiti di una nostra partecipazione misteriosa, ma reale, alla lode del Verbo. Questo ci consola pur dentro le inevitabili e talvolta colpevoli distrazioni. Nell’ufficio divino ci associamo agli angeli, ai santi, alla Beata Vergine Maria, ai nostri cari che già sono in cielo e partecipiamo, da povere creature, alla lode del Verbo, ci facciamo voce di tutta la Chiesa. Credo che nessuna estasi possa superare in dignità e grazia una partecipazione cosciente alla vita liturgica.
Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?
Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio.
Il sacerdote è colui che per amore offre se stesso in sacrificio sull’esempio di Cristo; egli è davvero l’amico di Gesù che offrendosi al Padre si offre a tutta la Chiesa e a quella porzione di popolo di Dio a cui è inviato. “Agendo in persona di Cristo – sono parole del Beato Paolo VI – il sacerdote si unisce più intimamente alla offerta, deponendo sull’altare tutta intera la propria vita, che reca i segni dell’olocausto”. Proprio nel sacrificio eucaristico impara che cosa significhi il dono totale di sé.
San Gregorio Magno, lamentava il fatto che “ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l’ufficio sacerdotale, altro ciò che mostriamo con i fatti”. Oggi come ieri il pericolo di perdersi nelle “opere di Dio” – che spesso poi rischiano di diventare le nostre opere, senza le quali ci sentiamo persi – è sempre possibile. Ecco allora Gesù che torna a bussare alla porta del nostro cuore per chiederci di stare nella sua presenza con quello “spreco di amore” capace di profumare non solo la nostra vita sacerdotale, ma la Chiesa tutta.
Mi sembra che in questo tempo Gesù ci chieda soprattutto due cose, adorazione e riparazione; che chiami ciascun sacerdote ad essere come san Giovanni l’amico amato del suo Cuore, il suo adoratore, colui che ha compreso il mistero della riparazione del male del mondo. Gesù ci chiama ad offrirgli amore fedele in cambio di tanta infedeltà e di tanto tradimento, riparazione per coloro che fuggono davanti alla sua viva presenza, per quanti hanno tempo per tutto tranne che per Lui.
Il tempo è dunque propizio perché nasca una compagnia di anime giovannee, sacerdoti adoratori e riparatori sui quali il Signore desidera riversare fiumi di grazia per il rinnovamento del sacerdozio e per la gioia della Chiesa. Si tratta di scegliere Dio e non le opere di Dio.
Grazie Don Paolo di avere condiviso le tue promesse sacerdotali.
ho sempre pensato che il dono più grande che Dio ci ha fatto dopo Suo Figlio, Maria e lo Spirito Santo siete voi sacerdoti. Dopo avere letto le promesse e quello che hai scritto sono felicissima serena tranquilla come un bimbo in braccio alla sua mamma perché il Signore ha voluto per il suo popolo Voi sacerdoti che cotanto fate per il popolo di Dio, intercedete per noi, offrite per noi, attraverso di Voi Gesù si fa presente sull’Altare e per mezzo vostro possiamo avere il perdono dei peccati ! Come non gioire e lodare Dio ! Grazie
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