PADRE TEOFILO, BICE E IL MARE

Kairnac era un piccolo e sconosciuto villaggio di campagna. Era sconosciuto ai suoi stessi abitanti, molti dei quali non sapevano che a Kairnac ci fosse il mare. Proprio così, avete letto bene: il mare, da non confondere con quello che molti chiamavano il “mare a quadretti” quando si riferivano alle numerose risaie che incorniciavano il paesello. Un mare vero e proprio.

La sensazionale scoperta la si dovette a Padre Teofilo, il quale, in un afoso meriggio estivo scoprì la porta misteriosa che dava accesso ad esso, al Mare di Kairnac. Ma andiamo con ordine, cercando di ricostruire bene i fatti.

Era un giorno apparentemente uguale a tutti gli altri e un intenso e deciso aroma iniziava a spandersi per il piccolo cucinino di Casa San Serafino di Sarov. Fuori iniziava ad albeggiare e Padre Teofilo aspettava che il gorgoglio della moka lo avvisasse che il caffè era pronto. Iniziare la giornata con un buon caffè era diventato ormai un piccolo rito. Che dire, il buon Padre era fisicamente, psicologicamente e neurologicamente incapace di qualsiasi cosa prima di aver preso una tazza di caffè.

Sul tavolo vi era un piccolo libretto lasciato la sera prima col proposito di leggerlo all’indomani. Era il “Trattato sulla preghiera” di Tertulliano, un autore cristiano del III secolo. Non seppe resistere alla voglia di aprirlo a caso, come a voler cercare una parola che potesse dare l’intonazione spirituale all’intera giornata e, avendolo fatto, l’occhio gli cadde su questo paragrafo: Pregano anche gli angeli, prega ogni creatura. Gli animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l’aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano, si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera.

Il pensiero corse subito a Eufrasia, la sua amica rondine che non solo era tornata a fargli visita, ma aveva fatto il nido proprio all’ingresso della Chiesetta di Kairnac. Si era compiuta la parola del salmista: “Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio”.

Eufrasia ormai era di casa e il suo dolce canto era divenuto un accompagnamento abituale ai vari momenti di preghiera. Gli stessi fedeli che frequentavano la Chiesa le si erano affezionati ed essi pure aspettavano trepidanti la schiusa delle uova.

Il pensiero di Padre Teofilo, però, dopo aver letto quelle poche righe non si fermò ad Eufrasia, ma andò a Bice. L’accenno alla preghiera degli animali lo aveva non poco incuriosito, tanto da chiedersi se anche Bice avesse una qualche famigliarità con la preghiera. A quell’ora non poteva di certo domandarlo direttamente all’interessata dal momento che i due non avevano gli stessi ritmi e gli stessi orari. Non poteva far altro che mettersi, per il momento, l’animo in pace e pazientare solo qualche manciata di ore. Fino ad allora non aveva mai osato toccare quell’argomento con Bice, con la quale il rapporto, in verità, si limitava a un diplomatico “buon giorno”, “buon pomeriggio”, “che giornata calda oggi”, “il cielo si sta rannuvolando”, “non ci sono più le mezze stagioni” e nulla più.

Bice era una giovane lucertola muraiola che da poco più di un anno si era trasferita in un piccolo anfratto monolocale proprio sotto la soglia della Chiesa. Bice e Padre Teofilo generalmente si incontravano verso il mezzogiorno o nel primissimo pomeriggio e, come si è detto, non vi era mai stato un vero e proprio dialogo che andasse al di là dei convenevoli dettati dalla buona educazione.

Ma quella mattina, le parole di Tertulliano avevano messo una pulce nell’orecchio di Padre Teofilo, il quale non vedeva l’ora di entrare nell’argomento. Si impegnò a pensare a un pretesto per attaccare bottone, all’ora giusta, con la sua timida vicina di casa.

La mattinata trascorse tra la preghiera e il lavoro, ma quando stava per rintoccare la campana dell’Angelus a mezzogiorno, Padre Teofilo si mise a passeggiare sul sagrato della Chiesa, fingendo di controllare la salute degli ulivi che lo recintavano, certo che i raggi caldi del sole avrebbero invogliato Bice a metter fuori la testa. Non bastò il tempo di un’Avemaria che Bice fece la sua comparsa, al che Padre Teofilo, interrompendo il suo sopralluogo botanico, si diresse verso l’ingresso della Chiesa, determinato a togliersi ogni curiosità.

– Buongiorno, signorina Bice – disse con tono affabile.

– Buongiorno a lei, Padre Teofilo – rispose Bice con altrettanta gentilezza.

– È qualche giorno che non ci incrociamo – continuò il Padre. E mentre diceva così, si piantò con le braccia conserte come a voler dare l’impressione di aver voglia di scambiare quattro parole.

Bice però era uscita in cerca di insetti e la fame ebbe priorità sulla voglia di mettersi a chiacchierare del reverendo.

– Non si preoccupi – riprese Bice – ora con questo sole caldo non mancheranno le occasioni per incontrarci più spesso. Buona continuazione! E tagliando corto se ne andò in cerca del pranzo.

A quel punto anche Padre Teofilo rincasò per prepararsi il pranzo. La sua voglia di indagare sul senso religioso piccolo sauro era rimandata a data da destinarsi. L’importante era non darsi per vinto. Il fatto è che quando Padre Teofilo si metteva in testa una cosa non c’era santo che potesse fargli cambiare idea.

Il pranzo fu leggero, una tenera insalatina con pomodori dell’orto e qualche fettina di cipolla rossa, un tozzo di pane di segale e per finire l’immancabile mela, quella che tiene lontano il medico! Gli è che il mancato incontro con Bice non gli lasciò fare la pennichella in santa pace e così pensò di andarsene in Chiesa a parlare un po’ con il suo amato Crocifisso.

– Ti vedo un po’ mogio, mio caro Teofilo! – gli disse Gesù dalla Croce – Che succede al mio guerriero?

– Grazie Gesù che ci sei sempre. Volevo fare un po’ di evangelizzazione con Bice, ma mi è andata buca.

– Ti rattristi per così poco, per una lucertola?

– In verità, non è per tanto Bice che sono triste, ma perché quello che non sono riuscito a fare con lei è quello che non riesco a fare con tanti fratelli.

– Spiegami un po’ questa cosa – gli domandò Gesù, come se già non sapesse cosa c’era nel cuore di Padre Teofilo.

– Non so come dire, ma vedo che diventa sempre più difficile annunciare il tuo amore a chi ancora non lo ha conosciuto. È come se ci fosse qualcosa che fa da tappo e così tanti cuori rimangono chiusi all’annuncio del tuo Vangelo, e questa cosa mi fa soffrire molto.

– Non dirlo a me.

– Allora aiutami a trovare il modo di parlare al cuore di questa gente. Io sono certo che con Te vivrebbero meglio, ma il deserto spirituale si estende sempre più e le anime inaridiscono. Gesù, aiutami ad essere un semplice strumento nelle tue mani perché tutti possano gettarsi nell’oceano immenso del tuo amore.

Ma ecco che nel pronunciare queste ultime parole, Padre Teofilo si rianimò come d’improvviso. Il volto fino allora rattristato si fece luminoso; balzò in piedi come un capriolo e poi di nuovo si gettò in ginocchio ai piedi del grande Crocifisso. Un rapido scambio di sguardi e via.

– Grazie, grazie, grazie come sempre, mio Signore!

Senza lasciarsi scappare una sola parola in più riguardo all’idea che gli era venuta, fattosi in gran fretta il segno della Croce, si avviò a passo spedito verso la canonica.

– Dove corri Teofilo? Attento a non calpestare…

Dall’alto della Croce Gesù non fece a tempo a finire la frase perché l’interessato si era già dileguato. Senonché, appena varcata la soglia della Chiesa, ci mancò poco che calpestasse Bice (ecco cosa gli voleva dire Gesù!) che se ne stava beata a prendere il sole. Assai dispiaciuta per la fretta con cui aveva liquidato il Padre Teofilo poche ore prima, Bice pensò bene di attaccare lei bottone questa volta, per non fare la figura della lucertola scorbutica. Come è vero il detto: chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane! Ma tant’è.

– Dove va così di fretta, Padre Teofilo – domandò Bice.

– Ero in Chiesa a pregare è mi si è accesa una lampadina.

– Deve essere qualcosa di importante, a giudicare dalla premura!

– Mi è appena balenata l’idea di proporre una gita al mare. Tempo di terminare la frase e si era già pentito di essersi lasciato scappare la cosa. Lì per lì non comprese come mai gli fosse venuto così spontaneo confidare la cosa a Bice, dato che non vi era tra loro una particolare confidenza. 

– Che cosa meravigliosa! Col caldo che fa, mi sembra una buona iniziativa. In quale località, se non sono indiscreta? Quasi quasi ci verrei anch’io. Bice si mostrò interessata.

– Dice sul serio? – Replicò sorpreso Padre Teofilo.

– Sì sì, mi creda, non conosco il mare, non ci sono mai stata.

– A me invece il mare non è che piaccia particolarmente.

Non era Padre Teofilo a parlare questa volta, ma Eufrasia che dal nido aveva assistito alla scena.

– Il mare – continuò la rondinella – sempre un po’ mi spaventa perché il vento salmastro per noi rondini significa fatica: ogni raffica di vento è come una scure pesante che ci fa indietreggiare quando è tempo di migrare. Perdonate l’intrusione!

Eufrasia si era intromessa un po’ da maleducata solo perché in fondo voleva attirare l’attenzione del Padre. Aveva qualcosa di importante da dirgli.

– Ohilà! Ci sei anche tu? – chiese Padre Teofilo sollevando lo sguardo al nido.

– Anche noi! – rispose Eufrasia.

– Mah, vuoi dirmi che sono nati i tuoi piccoli? – replicò Padre Teofilo con voce emozionatissima.

– Proprio così: ti presento i miei tre piccoli pulcini.

La gioia fu incontenibile. Padre Teofilo aprì le braccia al cielo, Bice fece due o tre giravolte ed Eufrasia, in segno di gratitudine, improvvisò qualche nota acuta.

– Non lasciarti distrarre dai miei piccoli – ammonì Eufrasia – stavi parlando di cose importanti e non hai ancora risposto alla domanda in quale località di mare intendi portare i tuoi parrocchiani.

– Siamo davvero curiosi di conoscere il posto – confermò Bice. E anche la data.

– Pensavo già per domenica prossima. Contando che oggi è solo lunedì, dovrei avere tutto il tempo necessario per organizzare bene ogni cosa.

– Sì, ma dove? – Dissero quasi contemporaneamente Bice ed Eufrasia.

– Tenetevi forte! Qui a Kairnac.

– A Kairnac? – Le due voci si accavallarono di nuovo.

– È da un paio di anni che sono qui – era Bice ad aver preso la parola – ma non ho mai saputo del mare.

– Non si preoccupi – la tranquillizzò Padre Teofilo – nemmeno io lo sapevo fino a pochi minuti fa.

– Mi starà mica prendendo in giro?

– Non sia mai, signorina Bice. Non mi permetterei.

– Allora mi parli un po’ di questo mare.

– Facciamo un patto. Se vi svelo il segreto del mare di Kairnac, mi promettete che non ne parlerete a nessuno fino a domenica, così che sia per tutti i parrocchiani una sorpresa?

– Parola d’onore – assicurò Bice, improvvisando un inchino con la testolina.

– Vale anche per te lassù, chiaro? Mica che con la scusa di uscire a far provviste per i piccoli, spifferi a tutti il mio segreto.

– Hai la mia parola – disse Eufrasia aprendo e chiudendo in fretta le ali e improvvisando un inchino un po’ canzonatorio. E ora siamo curiose di sapere tutto. Vuota il sacco!

– Mmm, uhm – Padre Teofilo diede un colpo di tosse per schiarirsi la voce e cominciò a raccontare alle due incuriosite interlocutrici come aveva scoperto una misteriosa porta che dava accesso al mare. Proprio così. Spiegò loro per filo e per segno come si era imbattuto in quella scoperta e cosa provò quando si trovò di fronte alla vastità di quel mare.

Bice se ne stava ad ascoltarlo con la bocca spalancata: mai aveva sentito parlare così del mare. Eufrasia, che invece l’esperienza del mare ce l’aveva, per averlo più volte sorvolato, era ugualmente colpita perché fino ad allora non aveva mai guardato il mare con gli occhi innamorati come quelli di Padre Teofilo.

– È meraviglioso tutto questo – prese a dire Bice con le lacrime che le scendevano dagli occhietti. Caro Padre Teofilo, non vedo l’ora che sia domenica.  

Bice prese poi a bombardare, in senso buono, Padre Teofilo con mille domande, alle quali il Padre non si sottrasse. Il tempo era letteralmente volato.

– Grazie del tempo che mi dedicato. Ora corra a preparare l’invito per i suoi parrocchiani. Spero tanto che all’appuntamento non manchi nessuno.

Anche Eufrasia, che dal nido aveva seguito tutto con grande attenzione, volle dire la sua.

– Penso che questo sia un regalo bellissimo anche per i miei piccoli. Corri e se hai bisogno per appendere gli inviti a tutti gli angoli delle strade ti aiuterò io insieme a tutte le mie amiche rondini del paese.

Padre Teofilo corse in canonica a preparare l’invito. Lo fece nel modo più semplice possibile, come gli veniva dal cuore. Nell’archivio della canonica non rimase copia negli anni a seguire di quell’avviso, ma all’incirca aveva scritto così: “A kairnac c’è il mare. Il più bello che abbia mai visto. Ne rimarrete meravigliate anche voi. Ho scoperto la porta che conduce ad esso. Vi aspetto tutti quanti Domenica mattina sul sagrato. È tutto gratis. Non mancate”.

Eufrasia si occupò delle affissioni, come aveva promesso e Bice si prodigò a ripulire tutto il sagrato chiamando in aiuto una squadra di infaticabili lucertole.

Era partito il conto alla rovescia. In paese non si parlava d’altro. Qualcuno pensò che il caldo avesse fatto male a Padre Teofilo. Qualcun altro ci scherzò sopra chiedendosi se il Padre avesse una “talare da bagno”. Certo è che la curiosità andava crescendo. Al più non ci avrebbero perso nulla e dunque perché non presentarsi all’appuntamento. Giustamente vi fu chi fece notare che non era indicata un’ora. A chi glielo domandò, Padre Teofilo rispose che potevano iniziare a venire dopo il suono dell’Ave Maria, ma solo quando si fossero radunati tutti, ma proprio tutti, li avrebbe condotti alla scoperta del mare.

Passavano i giorni e si resero conto che Padre Teofilo faceva sul serio. L’emozione e l’attesa erano palpabili nell’aria. Arrivò la domenica e pian piano il sagrato cominciò a popolarsi. Uno dopo l’altro, si presentarono tutti dai vecchi ai bambini. C’erano tutte le famiglie, gente che pur vivendo nello stesso paese da tempo non aveva più avuto occasione e modo di incontrarsi.

L’espressione un pochino tesa del volto e il gesticolare nervosetto delle mani, tradivano la grande emozione di Padre Teofilo. Bice quella mattina uscì di casa prima del solito. Ormai aveva eletto Padre Teofilo come sua guida spirituale. Gli venne incontro per tranquillizzarlo. In fondo lei già aveva avuto un’abbondante anteprima. Anche Eufrasia, sapendo quanto Padre Teofilo amasse il suo dolce canto, accolse tutti i convenuti con una melodia da pelle d’oca. Tutto era pronto. Gli occhi di tutti erano puntati su Padre Teofilo che si era posizionato davanti al portone della Chiesa. Ecco che finalmente montò su un solido sgabello ricevuto provvidenzialmente in dono qualche giorno prima dal vecchio falegname e con tono paterno prese a salutare i presenti.

– Miei cari, grazie che siete venuti. A Kairnac, come avete potuto leggere sull’invito, c’è il mare. Il mare più bello che esista. Ho scoperto la via di accesso che conduce ad esso. Non voglio farvela troppo lunga, avete pazientato fin troppo. Andiamoci insieme. Seguitemi.

Scese dallo sgabello, che si mise sotto il braccio, e varcò il portone della Chiesa e tutti fecero ugualmente. La Chiesa si stipò all’inverosimile. Ci entrarono tutti. I più agili salirono ad occupare la cantoria dell’organo, altri presero posto in coro. Quando furono piene le panche, fu la volta delle cappelle laterali e infine i più piccoli si sedettero sul pavimento della navata.

– E il mare? – prese a dire Padre Teofilo che era montato di nuovo sullo sgabello nel mezzo del presbiterio. Il mare dov’è? Eccolo. Guardate alla Croce e al Tabernacolo: ecco a voi il mare dell’amore infinito di Dio.

Nessuno fiatò. Padre Teofilo prese a parlare del Cristo, e ne parlò con così spirituale unzione che tutti, perfino i più scettici che pure non avevano voluto mancare all’appuntamento, piangevano come figli che hanno ritrovato finalmente il Padre che credevano di avere per sempre perduto.

– Ma non è tutto – esclamò con voce ancora più infervorata. Cacciò la mano nella tasca della sua tonaca e ne estrasse una grande conchiglia.

– Chi di voi – disse – non ha mai giocato da bambino, o forse anche da grande, ad ascoltare il mare accostandosi una conchiglia all’orecchio? Ebbene ora voglio farvi ascoltare lo sciabordio delle onde del mare dell’amore di Dio.

Salì con agilità i tre gradini dell’altare maggiore e, aiutato dallo sgabello, calò giù dal tempietto il suo amato crocifisso e appoggiò la testa all’altezza del cuore del Cristo. Il silenzio si fece ancora più profondo. Chiese a tutti di chiudere gli occhi e di appoggiare la testa sul Sacro Cuore di Gesù per sentire i battiti dell’amore divino.

– Fratelli, ascoltiamo l’Amore. Non abbiate timore. Fatelo anche voi adesso e fatelo di nuovo ogni giorno nelle vostre case.

Detto questo rimase per un po’ di tempo come assorto a contemplare le onde divine dell’amore infrangersi nella miseria del cuore umano. I presenti lo vedevano muovere le labbra, ma non udivano alcun suono.

– Gesù – diceva al suo amato crocifisso – tocca il cuore di tutta questa gente. Mostra ad essi la tua misericordia. Te li affido uno ad uno.

– Ti benedico Padre Teofilo di Gesù – gli rispose il Crocifisso – e come dissi un giorno a Simon Pietro, così dico a te: pasci le mie pecorelle. Per ciascuno di essi ho versato il mio sangue. Sii testimone infaticabile del mio amore. Veglia e persevera nella preghiera per poter dispensare i miei misteri con la dolcezza dell’unzione celeste. Accogli nel tuo cuore il fuoco e la luce della mia divina amicizia.

– O Gesù uniscimi a te, il mio cuore al tuo cuore.

– Di’ a tutti che io non rifiuto nessuno che venga a tuffarsi nel mare del mio amore misericordioso. Annuncia loro che le mie braccia sono aperte per riceverli nell’abbraccio del mio amore. Il mio Cuore sia il loro ospedale, il loro rifugio, il loro luogo di guarigione, di separazione da tutto ciò che è incompatibile con il mio amore.

Tutto nella Chiesa era silenzio e stupore.

– Ora va’- lo ammonì il Cristo – ti stanno aspettando e la tua gita al mare non è ancora terminata.

– Il Mare di Kairnac non è tutto qui – disse Padre Teofilo con tutto il fiato di cui era capace e con gli occhi bagnati di lacrime. Seguitemi di nuovo.

Facendosi largo tra la gente, attraversò la navata e si diresse a passo spedito verso il portone invitando tutti a uscire sul sagrato e facendoli mettere con le spalle alla Chiesa.  Stando in testa a tutti, montato di nuovo sullo sgabello ormai deputato a pulpito, prese a dire:

– Guardate il mare di Kairnac come è vasto. C’è un mare di bellezza nella nostra campagna che quasi non sappiamo più vedere. C’è un mare di bellezza nel nostro cielo, ma ancor più c’è un mare di bellezza nascosto tra le nostre case. È un mare fatto di tante gocce che sono l’amore fedele degli sposi, i sacrifici dei genitori per i loro figli, la sapienza e la preghiera tenace degli anziani, la sofferenza offerta nel silenzio dagli ammalati, la cura e la dedizione dei figli per i loro vecchi infermi, le mani intrecciate per sollevare chi è caduto, i sorrisi innocenti dei bimbi, la sete di vita dei giovani. C’è un mare di bene e di bontà forse invisibile agli uomini, ma che non sfugge allo sguardo di Dio Padre. Siamo immersi in un mare di Grazia. E ora, tutti insieme, celebriamo l’Amore.

In gran fretta si allestì l’altare per la Messa nel parco del Castello riaperto per l’occasione dopo tanti anni. Nessuno se ne andò. Eufrasia chiamò a raccolta tutte le rondini che per tutta la durata della celebrazione rimasero in volo con le ali aperte in forma di croce per regalare un po’ di ombra ai fedeli riuniti. Il coro diretto dal preside del paese cantò magistralmente. Dopo il Vangelo, Padre Teofilo, disse le parole che Gesù gli aveva sussurrato al cuore poco prima. Non poté  non parlare anche del mare dei nostri peccati, dai quali è venuto a liberarci l’Agnello di Dio. È a lui che occorre guardare instancabilmente.

 – Il nostro egoismo – si era ormai quasi alla fine – è come uno scafandro che  ci isola dal mare della misericordia di Dio, anche se vi siamo immersi. Il nostro orgoglio, il nostro peccato ci isola dal mare di Dio, ci rende impermeabili alla vita di Grazia. Quanto è triste ed isolata una vita senza Cristo. Tuffiamoci senza indugio… Ecco il vostro mare. Ecco il nostro mare di Kairnac!

A imperitura memoria di quella indimenticabile domenica di estate, fu issato sulla cima del campanile un angelo dorato recante tra le mani un cartiglio con incisa in latino la frase del Vangelo “Duc in altum”, che tradotto significa “Prendi il largo”, per ricordare agli abitanti del posto e agli avventori, sempre benvenuti, che Kairnac è un villaggio di mare e da amare.

Dimenticavamo di dirvi – anche se forse molti stenteranno a crederlo – che quel giorno Bice imparò a volare e da allora la sua vita diventò una incessante preghiera.

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