PADRE TEOFILO E LA NOTTE DI NATALE

Allo scoccare della mezzanotte, il chierichetto tirò la corda della campanella della sacrestia e un armonioso canto iniziò a riempire la navata della Chiesa di Kairnac. Il coro cantava parole dolci e struggenti sostenute dal suono solenne dell’organo. Rivestito dei paramenti più belli, Padre Teofilo si appressava all’altare insieme ai ministranti. Tra le mani teneva una statua di Gesù Bambino che – prima ancora di venerare l’altare con il bacio rituale – depose in un cesto agghindato a festa collocato proprio al centro del presbiterio, non prima di averlo teneramente baciato in fronte.

Adagiò Gesù Bambino nella culla, ma poi ebbe come un ripensamento che non sfuggì alle pie donne delle prime file che già si immaginavano qualche mancanza della sacrestana nel preparare il corredino, riprese il Divin Pargoletto di porcellana appena deposto e se lo strinse al cuore per quasi tutto il canto del Puer Natus. Lo baciò nuovamente, questa volta sui piedini e sulle manine, e lo intronizzò nella sacra culla.

Il coro scandiva con maestria le parole del canto: Puer natus in Bethlem, unde gaudet Jerusalem, un Bambino è nato Betlemme, per questo esulta Gerusalemme. Nel mistero della liturgia ora non c’era più differenza tra Gerusalemme e Kairnac e soprattutto era accorciata ogni distanza tra Kairnac e Betlemme. Il Cielo era di nuovo sceso lì, nella piccola Chiesa del villaggio.

Era la notte di Natale e, abbandonato il tepore della casa, i fedeli erano accorsi all’amata Chiesa per scaldarsi al fuoco vivo dell’amore di Dio venuto ad abitare in mezzo a noi. Tutto era armonia e bellezza, quand’ecco un forte tonfo proveniente dal presepe interruppe bruscamente il dolce incanto.

Con un sincronismo perfetto le teste dei fedeli si voltarono per cercare di capire cosa stesse succedendo. Anche Padre Teofilo che non aveva ancora terminato di salire i tre gradini per andare a baciare l’altare ridiscese di scatto e nell’atto stesso di voltarsi indietro per capirci qualcosa si vide letteralmente assalito da una pecora scappata fuori dal presepe.

La scena aveva dell’incredibile. La gente era allibita. Gli occhi sgranati rendevano all’esterno il grande interrogativo che si agitava all’interno: e questa pecora da dove salta fuori? Appena giunta tra le gambe di Padre Teofilo la pecorella tirò un belato di sollievo, certa che lì nessuno avrebbe più potuto farle del male.

– E tu chi sei? Che ci fai qui? – chiese il Padre con voce burbera, scocciato di aver dovuto interrompere bruscamente la celebrazione della Notte Santa, abbozzando tuttavia una mezza carezza all’irresistibile e candida lana della malcapitata.

– Bee, bee, bee – fece con voce tremula il lanigero approdato misteriosamente ai piedi dell’altare – Beeeatrice, mi chiamo Beatrice.

– Da dove salti fuori? – incalzò Padre Teofilo, desideroso solo di riprendere la sacra funzione.

– Abbi pieeetà di me, buon padre. Scappo da quel pastore laggiù che mi vuole ammazzare di bastonate.

Istintivamente Padre Teofilo e con lui tutti i fedeli, che pure avevano ascoltato le confidenze della pecorella smarrita, si voltarono di nuovo verso il presepe e non videro altro che tanti pastorelli di terracotta diretti alla grotta di Betlemme.

– È quello là dietro – prese a dire Beatrice – spingendo il musetto nella direzione di un barbuto pastore di gesso che se ne stava incollato inespressivo nel punto del presepe più distante dalla Santa Famiglia.

Dal presepe – come c’era da aspettarsi – non giunse alcuna risposta né alcun cenno. Il volto di Padre Teofilo si fece pensieroso.

– Vuoi dirmi con calma cosa ti è successo – e con la mano destra fece cenno ai fedeli si sedersi perché il sacro Rito avrebbe subito un inatteso ritardo. Anch’egli si sedette sul secondo gradino dell’altare giacché la pecora fuggita dal presepe non sembrava volergli consentire di spostarsi da dove si trovava.

– Non so da dove cominciare – prese a dire la pecora Beatrice con voce tremula. E poi rivolgendosi a Padre Teofilo con gran confidenza, come se lo conoscesse da una vita, iniziò il racconto commuovente della sua avventura.

– Tu sai – disse al Padre dandogli proprio del tu, come ad un amico – che noi pecore, un po’ come tutti del resto, non siamo immuni da difetti. La mia specialità poi, è quella di sbandare e, in men che non si dica, di sottrarmi allo sguardo del pastore e di allontanarmi alla chetichella dal gregge fino a smarrirmi. È più forte di me. Io mi riprometto ogni volta di non farlo più, ma poi ci ricasco. Sai mi è capitato proprio tante volte di vagare per conto mio fino a perdermi tra i cespugli.

– Ad essere sincero – la interruppe Padre Teofilo – mi riconosco un po’ anch’io in questa tua tendenza a smarrirti. Nel dire questo sollevò lo sguardo ai suoi parrocchiani che muovendo lentamente il capo in su e in giù senza proferir parola chiedevano tacitamente al loro pastore di essere annoverati essi pure nel gregge dei facili a smarrirsi.

– Riprendi pure il tuo racconto.

– Questa notte me ne stavo dormendo tranquilla insieme alle altre, quando ad un certo punto il pastore ci ha svegliate – cosa mai successa prima – e ci ha fatto mettere in cammino. Lo sentivo parlare ad alta voce con altri pastori e mi è sembrato che si dicessero: andiamo fino a Betlemme per vedere se è vero quello che ci hanno detto gli angeli. Lì per lì ho pensato che si fosse impazzito o che avessero bevuto un po’ troppo, fatto sta che ho pensato di non dar retta alla voce del pastore e di inventarmi una mia strada e così sono andata a nascondermi nei pressi di un cespuglio, solo che ad un certo punto…

– Si può sapere dove ti sei cacciata? – si udì distintamente gridare sotto le volte della Chiesa di Kairnac.

Tutti si voltarono nuovamente verso il presepe. Beatrice in gran fetta ficcò prontamente la testa sotto la lunga veste di Padre Teofilo per paura di quello che stava per capitarle e intanto dal bel mezzo del presepe, con agile scatto, saltò giù un infuriato pastore con tanto di bastone in mano alla ricerca disperata della sua testarda pecorella smarrita. Mosse la testa da un capo all’altro della navata e, come una furia, in men che non si dica si fiondò verso l’altare dove aveva scorto la fuggiasca sebbene cercasse di nascondersi sotto i paramenti.

– Fermo lì – gli intimò Padre Teofilo. E tu chi sei?

– Sono Bartimeo e sto cercando quel somaro di una pecora che mi è scappata via dal gregge. Come ebbe pronunciata la parola somaro, partì una ragliata così sonora da lasciare interdetti persino i più vecchi del paese.

– Che c’è contro gli asini? Dall’interno della capanna, mostrando la sua bella dentatura, l’asino che fino ad allora se ne era stato a riposo dopo le fatiche del lungo viaggio che l’aveva condotto fin lì, cominciò a fare le sue rimostranze.

– Sono molto addolorato – ragliò l’asino – che nell’opinione comune delle persone io venga sempre considerato come l’emblema dell’ignoranza e della limitatezza.

Bartimeo, colto alla sprovvista, cercò di scusarsi alla meglio, con non poco imbarazzo, cercando di far capire al quadrupede che non aveva nulla contro di lui, ché anzi gli asini gli stavano pure simpatici per la dolcezza dei loro occhi e che solo la rabbia del momento gli aveva messo sulla bocca quell’espressione che poteva sembrare offensiva all’equide. Mentre cercava così di cavarsela nella sua difesa d’ufficio, ecco che, dall’interno della grotta, il bue si sentì in dovere di spendere una parola in difesa del compagno di avventura e così, dopo essersi schiarito la voce con un sonoro muggito prese a dire:

– Io e il mio socio siamo sempre a disposizione per le faccende più gravose e  per i servizi più umili. Non partecipiamo mai alle sfilate, non rivendichiamo mai ruoli importanti e perlopiù in cambio non ne abbiamo che botte e insulti.

Bartimeo non si sentì di dargli torto, anzi prese a dire:

– Mi scusi, signor bue, mi creda, ho gran rispetto del vostro lavoro, non ho proprio nulla contro di voi. La rabbia mi ha fatto dir quel che non volevo.

Se non fosse intervenuto prontamente Padre Teofilo a mettere pace, la situazione sarebbe ben presto degenerata.

– Sii benedetto, fratello bue – prese a dire dai gradini dell’altare Padre Teofilo – e sii benedetto anche tu fratello asino. Siete affidabili, modesti e discreti. Per questo il Padre Eterno vi ha voluti nella grotta della Natività. La vostra presenza ci ricorda che nella vita ci vuole costanza, determinazione, tenacia, pazienza, disposizione al sacrificio, ma soprattutto impegno ad arrivare fino in fondo.

Rivolgendosi poi all’asino, da cui, a onor del vero, aveva preso vita la baruffa, Padre Teofilo, riprese a dire:

– Fratello asino, è bello che tu sia stato scelto per essere tra i più vicini a Gesù Bambino, quasi a voler rappresentare le tante persone bastonate e umiliate dai propri simili. 

L’asino ebbe un piccolo moto di orgoglio, mostrò con un sorriso la sua dentatura, fece con la testa un inchino e si sistemò di nuovo là dove si trovava prima di sentirsi chiamato in causa. La pace era tornata, almeno nella grotta. Rimaneva ora da cercare di mettere pace tra Bartimeo e Beatrice che, dal canto suo, non dava segni di volersi separare da Padre Teofilo. Stretta stretta a lui si sentiva al sicuro.

– Bartimeo, ho una cosa da dirti.

– Ditemi, buon Padre.

– Vorrei che non ti adirassi con Beatrice. È ancora un po’ giovane e inesperta.

– Comprendo le vostre parole, buon Padre, ma dovete sapere che non è mica la prima volta che scappa via, costringendomi ad andarla a cercare, perdendo tempo e sprecando forze.

– E chissà quante altre volte scapperà ancora! Padre Teofilo non seppe trattenersi. Non l’avesse mai detto. Fece subito ammenda mordendosi le labbra, temendo di aver peggiorato le cose.

– Datele pure ragione – replicò assai seccato Bartimeo – tanto non siete voi che dovete rincorrerla.

– Voglio raccontarti un fatto, se me lo permetti.

La pecora Beatrice intanto se ne stava seduta tranquilla ai piedi di Padre Teofilo. Anche lei era tutta orecchi per ascoltare quello che il prete di Kairnac aveva in cuore di confidare al suo pastore.

– Vi ascolto. Ditemi pure.

Padre Teofilo invitò allora Bartimeo a sedersi al suo fianco sul gradino dell’altare e al contempo con un sorriso rassicurò tutti i fedeli che assistevano attoniti alla scena.

– Dico a te, mio caro Bartimeo e dico anche a voi miei cari parrocchiani, che in tutta la mia vita non mi era mai capitata una notte di Natale così movimentata. Credo che il Signore voglia dirci qualcosa di bello. Ora tutto in me si fa chiaro. L’altro ieri – c’era un po’ di commozione nella voce di Padre Teofilo – mi è arrivato un pacchettino da parte del mio caro amico e confratello Padre Pascasio. Conteneva una lettera e un piccolo regalino. Voglio leggervi la lettera che ho tenuto con me nella tasca della veste.

Mio caro Teofilo, amico del mio cuore, è passato un anno dalla mia ultima lettera. Ti scrivo per farti gli auguri di un Santo Natale del Signore e per donarti questa statuina.

Nel leggere questo tirò fuori dalla tasca della talare una piccola statuina che mostrò a tutti i presenti e riprese a leggere la lettera.

 Sai chi è? È un pastorello, dirai tu. Non esattamente. Questo è un raro esemplare di Pastor Bello. Ha un messaggio per te: “Figlio, non sei solo, io sono con te. Sono te”.

Mi hanno raccontato – proseguì nella lettura dello scritto di Padre Pascasio – che in questi mesi hai parlato più volte di Gesù Buon Pastore, dell’amore con cui cerca e si carica sulle spalle la pecorella smarrita, della festa che fa (e le fa) quando la trova. Come potrai bene immaginare, non ho resistito quando ho visto questa statuina: ho pensato subito a te. L’ho tenuta con me per un po’ di tempo, ma adesso vorrei che stesse con te.

Qualche giorno Lui sarà te, altri giorni Lui sarà con te.

Ma ci pensi? Il Cielo è sceso sulla terra – la più bella e grande dichiarazione d’amore che ci sia mai stata – e questo amore ti ha scelto per dire (e dare) il suo (e il tuo) amore a tutti. Come questa statuina, come Ursicino con la sua pecorella, sentimi sempre unito a te. Ti abbraccio e ti benedico.

Pascasio

P.S. Che dici? Ursicino ti pare adatto come nome?

– Mentre Padre Teofilo avanzava nella lettura, una lacrima iniziò a solcare il viso di Bartimeo che in cuor suo si pentì del male che aveva pensato contro la sua pecorella smarrita. Capì che in fondo siamo tutti delle pecorelle smarrite e che in quella notte di luce gli angeli erano venuti ad annunciare che sulla terra era nato il buon pastore.

Non servirono altre parole. Fu sufficiente qualche scambio di sguardi. Bartimeo prese Beatrice e se la pose sulle spalle e insieme a padre Teofilo si incamminò in direzione del presepe per andare a collocarsi davanti a Gesù Bambino. I fedeli, pur rimanendo al loro posto, si voltarono verso la grotta dove, cullato da Maria e da Giuseppe, giaceva in Verbo di Dio fatto carne. Quando fu vicino al presepe, Bartimeo fece un salto con la sua pecorella che gli scaldava teneramente il collo e rientrò al suo posto tornando ad essere una statuina del presepe di Kairnac. Dopo aver assistito alla scena, padre Teofilo si inginocchiò davanti a Gesù Bambino e lo pregò così:

Gesù Bambino, Agnello di Dio e buon Pastore,

ho bisogno che mi guardi.

Ti chiedo di fissare bene il mio volto

e quello di tutti questi miei fratelli e sorelle

e di imprimerti bene negli occhi la nostra fisionomia.  

Siamo qui davanti a te, ci sembra di averti trovato,

ma chissà quante volte dovrai ancora venirci a cercare.

A perderci siamo bravi da soli.

Ma trovarci è una specialità tutta tua.

Siamo qui nel tuo presepe come pecore smarrite

e ritrovate in continuazione,

fuggite e riportate nuovamente a casa.

Tutta l’assemblea proruppe in un fragoroso e commosso: amen, amen. La Messa della Notte Santa poteva ora avere inizio. Prima di tornare all’altare, Padre Teofilo, volle separarsi dal suo Ursicino perché diventasse un dono per tutti e lo mise di sentinella vicino alla grotta. Nei giorni a venire tutti raccontarono di aver avuto la stessa esperienza: di aver ricevuto da Ursicino un dolcissimo sorriso ogni volta che si avvicinavano al presepe per una preghiera e di aver udito distintamente la sua voce sussurrare: “Ecco l’Agnello di Dio avvolto in fasce nella mangiatoia. Egli è nato a morire per te”.

3 pensieri riguardo “PADRE TEOFILO E LA NOTTE DI NATALE

  1. Bentornato padre Teofilo! Un miracolo senza spettacolarità a dirci che ogni giorno Il Salvatore compie per noi miracoli ,per facilitare la nostra salvezza
    Il punto di vista iniziale, quello di Beatrice,è l’originalità e rende nuova la focalizzazione sulla vicenda della pecora smarrita.
    Grazie padre Teofilo/Paolo !
    Buon Natale

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  2. Le favole, con il loro profondo significato, sono un dono e dono è saperle raccontare per toccare il cuore e muovere a riflessione.
    Era tanto che aspettavo di leggere notizie da quel di Kairnac ed ecco il prezioso regalo in parole.
    Grazie!

    Buon compleanno Gesù Bambino; benedici e custodisci tutti i tuoi amati pastori con tutte le tue pecorelle!

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